sabato 29 dicembre 2018

giovedì 20 dicembre 2018

Svizzera: Dove va la "sinistra" ... (prima parte)


Dove va la sinistra … (prima parte)

 

Da nessuna parte o, meglio, notevolmente indietro che quasi, quasi non si vede più. Alla strenua difesa delle classi subalterne ha anteposto supponenza, puzza al naso e ritiro completo in quella moderna fortezza parlamentare “Bastiani”, un ridotto di eletti a distanza siberiana dal vivere quotidiano.
Chi tenta di rompere il suo stato catatonico è guardato di sbieco e/o subito etichettato come provocatore/avventurista. E allora vediamo, con i fatti, chi provoca chi.
Agli inizi degli anni settanta un gruppetto di professionisti appartenenti alla borghesia socialista autonoma (BSA), con l’intento di istituzionalizzare il malcontento di quei tempi che, in fabbrica e sul territorio, cominciava a dare fastidio ai piani di ristrutturazione capitalista, usci dal letto matrimoniale della socialdemocrazia teorizzando la “via per l’alternativa popolare” con il fine dichiarato di giungere al superamento dell’economia di mercato tramite una lunga marcia democratica coniugata con l’uso delle istanze istituzionali come “cassa di risonanza” delle mobilitazioni sociali. Ricordo che uno dei suoi esponenti più noti, poi Consigliere di Stato, non perdeva l’occasione di ammonire l’utenza con il concetto che “ se al cittadino non si prospetta un’alternativa di sinistra, quello poi finisce per andare a destra”. Era il tempo dove un lavoro si trovava, chi studiava non era costretto a portare il diploma alla Cassa disoccupazione, la scuola non somigliava troppo ad una fabbrica, le assicurazioni sociali erano sopportabili, gli affitti pure, FFS, Posta e Swisscom non privatizzavano gli utili.
In quegli anni governava il centro liberaldemocristiano con i soliti, occasionali supporti della socialdemocrazia storica. Oggi, più di quaranta anni dopo, a situazione assai peggiorata,fa il bello e cattivo tempo la destra forcaiola con i rimasugli de due partiti storici. Agli ex BSA, che devono concentrarsi di brutto per ricordare come sia fatto un operaio, un elettricista, un lattoniere, nemmeno il ruolo di utili idioti perché le strategie dell’economia globalizzata non sanno che farsene. Chi è al comando decide come, quanto e quando prendere o dare. Punto.
Allora, per non farla tanto lunga, una domandina s’impone: In tutto questo tempo, a sinistra, chi è stato, nei fatti, il provocatore?



mercoledì 12 dicembre 2018

La rivolta violenta fa paura ai padroni (e non solo)

Fonte:http://www.operaicontro.it

In Italia tutti i partiti dicono che la protesta deve essere pacifica. La stessa Lega di Salvini si vanta che grazie al governo M5S- Lega di aver impedito le proteste violente e di poter continuare a difendere  i padroni.

La violenza delle proteste porta i vari santoni della democrazia dei padroni a considerare i motivi della protesta sbagliati

Invece non è vero niente

La rivolta violenta che da più di quattro settimane mette a fuoco le strade della Francia ottiene un primo risultato

Macron il capo dello stato dei padroni francesi è costretto ad ammettere che la rabbia dei rivoltosi è sacrosanta.

I soliti intellettualoni  diranno che le dichiarazioni di Macron sono fatte nel tentativo di fermare la rivolta.

E’ vero, ma Macron mentre condanna la violenza è costretto ad annunciare vari provvedimenti per rispondere ai rivoltosi “pacifici”

Il capo del governo dei padroni è costretto a fare promesse:

– Aumento del salario minimo di 100 euro

– Annulla la contribuzione sociale generalizzata per i pensionati che guadagnano meno di 2000 euro al mese

– Macron dice di voler detassare gli straordinari

– Macron invita i padroni al versamento di un bonus di fine anno

Macron non rispetterà queste promesse.

Queste promesse non eliminano lo sfruttamento.

I rivoltosi Francesi hanno dimostrato che l’unica protesta che può servire è quella violenta.

Un operaio di Torino

La paura fa 90, senza frontiere !

Egypte : Les autorités restreignent la vente des gilets jaunes !

Les autorités égyptiennes ont discrètement mis un frein à la vente de gilets jaunes. Le pouvoir craint que des opposants s’emparent de ce nouveau symbole de contestation à l’occasion de l’anniversaire de la révolution de 2011. Les revendeurs de gilets jaunes ont reçu l’ordre de ne plus en vendre aux acheteurs occasionnels. Seules les ventes en gros à des sociétés ayant obtenu l’aval de la police sont désormais autorisées. Ces restrictions sont en vigueur jusqu’à la fin du mois de janvier, pile au moment du huitième anniversaire de la révolution égyptienne qui a conduit le 25 janvier 2011 à la chute de Hosni Moubarak. Chaque année, des heurts éclatent dans le pays en cette période, faisant plusieurs morts.
En Irak, au début du mois, des manifestants revêtus de gilets jaunes, réclamant des services publics de base telles que l’eau et l’électricité, ont pris d’assaut les bureaux du Gouverneur de Bassora.

Fonte:https://secoursrouge.org

lunedì 10 dicembre 2018

Parigi ... e dopo? Discutiamone.

http://www.euronomade.info/?p=11351

di TONI NEGRI.

Ragioniamo su quanto avvenuto in queste ultime tre settimane in Francia. Si può chiamare insurrezione? Dipende da come s’intende la parola insurrezione – certo, comunque la si intenda, qualcosa del genere c’è stato. E probabilmente continua. E non son tanto, a mostrarlo, i violentissimi scontri che ormai da due sabati si verificano nella metropoli parigina. Non sono le barricate, gli incendi di automobili sulle strade del centro parigino a mostrarlo e neppure le jacqueries che qua e là si hanno in Francia e i blocchi stradali che si distendono ovunque. Lo dicono quei due terzi di francesi che approvano il movimento generale che l’aumento del prezzo della benzina ha determinato. E questa approvazione va molto al di là dell’eventuale condanna dei disordini accaduti. Interessanti sono a questo proposito gli accenni di insubordinazione che animano gli stessi comportamenti dei pompieri e dei corpi di polizia.
Certamente, c’è ormai in Francia una moltitudine che insorge violentemente contro la nuova miseria che le riforme neoliberali hanno determinato. Che protesta per la riduzione della forza-lavoro al precariato e per la costrizione della vita civile nell’insufficienza dei servizi sociali pubblici, per la bieca tassazione di ogni servizio del welfare, per i giganteschi tagli alle finanze dei governi municipali ed ora, sempre di più, per gli effetti (che si cominciano a misurare) della Loi Travail, e si preoccupa per gli attacchi prossimi al regime di pensionamento ed al finanziamento dell’educazione nazionale (università e scuole secondarie). C’è in Francia, dunque, qualcosa che insorge violentemente contro la miseria e fa seguire a questo un “Macron, démission!” – un attacco cioè alle scelte del banchiere Macron a favore delle classi dominanti. Gli obiettivi dell’insurrezione sono Macron e le tasse. Non è un movimento sociale tradizionale, quello che si è composto attorno a queste parole d’ordine – non lo è, almeno, nella forma novecentesca, dove un movimento presenta degli obiettivi che le istituzioni dello Stato assumono o rifiutano dopo che sono stati mediati da corpi sociali intermedi. Questo è un movimento moltitudinario che non vuole intermediazioni, che è espressione dell’enorme sofferenza sociale fin qui accumulata.
C’è qualcosa che colpisce soprattutto in questo movimento e che lo rende diverso dalle lotte più dure che la Francia abbia conosciuto negli ultimi anni, per esempio dalla lotta del 2005 dei cittadini delle banlieues. Quella era una lotta che aveva il segno di una liberazione, questa del 2018 ha una faccia disperata. E non parliamo del ’68. Nel ’68, il movimento degli studenti si impiantava su un continuum di lotte operaie. Il ’68 è 10 milioni di operai industriali in sciopero, è una tormenta che si dà sul punto più alto dello sviluppo e della ricostruzione post-bellica. Qui, oggi, la situazione è chiusa. A me, piccolo interprete di grandi movimenti, ricorda la rivolta nelle prigioni più che la gioia del sabotaggio dell’operaio massa. In ogni caso, si tratta di un movimento artificiale, contraddittorio, con diversità territoriali, generazionali, di classe, e chi più ha più ne metta; è unificato dal rifiuto di trattare, di mettersi in gioco dentro le strutture politiche esistenti. È senza dubbio un’insurrezione e per il momento è indecifrabile il suo sviluppo.
Davanti a sé questo movimento ha un governo che non vuole cedere, che non può cedere. È fuori dubbio che Macron stia muovendosi in una situazione chiusa. A fronte di una crisi economica che non riesce a bloccare, aveva puntato su un’alleanza egemonica europea con la Merkel, su una direzione “a due” del processo di unificazione europea, pensando di scaricare su quest’alleanza i costi di una ristrutturazione e di una definitiva uscita francese da una “minorità” economica – difficilmente commisurabile all’orgoglio nazionale e coloniale ancora vivo. Ma questa ipotesi è saltata, comunque è fortemente indebolita. Stiamo rientrando in recessione? Macron e i suoi sanno che è possibile. Sanno comunque che la Merkel ha finito il suo ciclo e che l’ipotesi di partenza del riassetto generale della forma-Stato in Francia è bloccata. Le regole dell’Unione europea le faranno sempre di più i banchieri del nord Europa e la determinazione dell’equilibrio si sta spostando in quelle regioni. Ci sarebbero state e ci sono un paio di possibilità per Macron di uscire dall’impasse nella quale si è messo. Sono soluzioni proposte attorno ad un cambiamento di rotta: per esempio, la reintroduzione dell’ISF (imposta di solidarietà sulle fortune) e cioè la ripresa dell’imposta progressiva sui redditi mobiliari, e l’annullamento della CSG (contribuzione sociale generalizzata) che toglie anche ai salari più bassi quote monetarie… per aiutare poveri! (ad esempio 50 euro su pensioni di 500 euro!) – oltre naturalmente all’abolizione degli aumenti del prezzo del carburante presenti e futuri (in particolare si attendono aumenti di tutte le tariffe dei servizi – elettricità, gas, telefono e probabilmente tasse universitarie – per l’inizio dell’anno prossimo). Non sono possibilità che Macron possa attuare senza rompere con il blocco di potere che lo sostiene. Possono allora esserci soluzioni drastiche come l’instaurazione dell’état d’urgence o la dissoluzione dell’Assemblea nazionale. Si cominciano ad orecchiare voci in proposito…
Ma il blocco per l’azione di Macron è altrove. Di fatto, egli ha distrutto ogni corpo intermedio, ogni rapporto diretto con la cittadinanza e gli è difficile ristabilire qualsiasi rapporto. Basterebbe dunque poco, se non per bloccare il movimento con qualche proposta opportunista e demagogica, almeno per attenuarne l’indignazione (che non è forza sottovalutabile): basterebbe, come si è detto, ritornare sulla tassa contro le grandi fortune e recuperare quei quattro miliardi concessi ai padroni dei padroni per ridistribuirli, in luogo dell’imposizione della tassa carburante. Ma non sta a noi dar consigli a Macron. Fonti autorevoli insistono, come si diceva, su una manovra legale: état d’urgence per bloccare le lotte, accompagnati da “stati generali della fiscalità”. Si ammette così che solo la forza può bloccare le lotte, e che solo un’apertura a riforme fiscali a favore della moltitudine, può impedirne la ripresa. Ma è appunto questa soluzione ad essere impossibile.
Abbiamo già detto della mancanza di intermediazione sociale creata (e voluta) dal governo Macron. Gli corrisponde, in vitro, come in uno specchio, il comportamento dei gilets jaunes: anch’essi rifiutano la rappresentanza e l’intermediazione, la destra e la sinistra, come terreno sul quale arrivare ad una mediazione del conflitto. Lo dimostrano le difficoltà che hanno i partiti di opposizione ad inserirsi in questo gioco. La destra, come noto, pretende di esser fortemente presente in questo movimento. Ma questo può esser vero per quanto riguarda alcune frazioni estremiste, è molto meno vero per quanto riguarda il grande partito della Le Pen. Anche da sinistra si tenta di avvicinare il movimento, purtroppo nei soliti vecchi termini di strumentalizzazione. Anche in Francia vive l’idiota immaginazione che si possano “usare” movimenti di questo genere, utilizzandoli nella lotta contro un governo di destra. È l’ininterrotto sogno di servirsi del Pope Gapon! Ma questo non è mai successo nella storia del movimento operaio, ovvero, quando è accaduto, è stato perché l’organizzazione militante della classe operaia aveva investito la spontaneità e l’aveva trasformata in organizzazione. È forse questo il caso odierno? Quando son solo piccoli gruppi di sinistra che si organizzano negli scontri metropolitani e quando la CGT, completamente estranea a questi movimenti, pateticamente insiste su un rialzo della massa salariale? Ultima riflessione a questo proposito: è possibile la nascita di un movimento come i 5 Stelle in questa situazione? È possibile, è probabile anzi che si facciano da subito tentativi in proposito – non è detto che riescano. Ma di questo avremo tempo di parlare. Ogni soluzione è difficile laddove (come già avvenuto nel laboratorio Italia) destra e sinistra si sono sfasciate attorno ad un “estremismo di centro” mascherato in termini più o meno tecnocratici o “benevolenti”.
E allora? Attendiamo di vedere che cosa succederà. Se vi sarà un quarto sabato di lotta indetto dai gilets jaunes. Ma è chiaro che la riflessione dev’essere portata avanti. Permettetemi un’ingenua domanda: come può una moltitudine, caratterizzata dentro movimenti insurrezionali, esser tolta ad una deriva di destra e trasformata in classe, in potenza di trasformazione dei rapporti sociali? Una prima riflessione: se non è trasformata in organizzazione, questa moltitudine è neutralizzata dal sistema politico, diviene impotente. Altrettanto vale per la sua riduzione a destra e, comunque, a sinistra: è solo nella sua indipendenza che questa moltitudine può funzionare. E allora una seconda riflessione: quando si dice organizzazione, non si intende organizzazione partitica – come se solo lo Stato dei partiti potesse dare organizzazione alla moltitudine. Una moltitudine autonoma può funzionare come contro-potere e cioè come prospettiva pesante e lunga nel costringere il “governo del capitale” a concedere nuovi spazi e nuovo denaro per il benessere della società. La struttura organizzativa prevista dalla “costituzione dei partiti”, democratico-americana, ormai difficilmente regge alla sua incorporazione nelle politiche neoliberali. E se, d’altra parte, non c’è più la possibilità di portare la moltitudine al potere, vi è tuttavia la possibilità di tenere sistematicamente aperto un movimento insurrezionale. Una volta questa situazione era chiamata di “doppio potere”: potere contro potere. I fatti francesi mostrano una sola cosa: che non è più possibile chiudere questo rapporto, che la situazione di “doppio potere” starà in piedi, sarà a lungo presente in maniera espressa, palese, come sta succedendo oggi, o in maniera latente. L’attività dei militanti sarà dunque quella di costruire nuove solidarietà attorno a nuovi obiettivi che nutrano il “contro-potere”. È solo così che la moltitudine può diventare classe.
Preistoria
Che cosa succede in Francia? C’è una rivolta di uno strano popolo che in un primo sabato (17 novembre) blocca gli incroci e le rotonde delle strade dipartimentali, gli ingressi delle autostrade, e che si presenta al secondo sabato (24 novembre), assai combattiva, sugli Champs Elysées parigini, elevando barricate e chiedendo di incontrare il Presidente della Repubblica. In un terzo sabato (1 dicembre) i manifestanti investono i quartieri ricchi della metropoli, scontrandosi furiosamente con la polizia, svaligiando boutiques e ristoranti… È una cosa seria? Da dove arriva? Perché Macron non riesce a chiudere questa vertenza che si sta sempre più allargando di sabato in sabato? Ci sarà un quarto sabato?
gilets jaunes son cominciati rispondendo con un milione di firme ad un invito ad agire contro l’aumento del prezzo del carburante, lanciato sui social. Al milione di firme son seguite 250.000 persone che hanno indossato i gilets jaunes, il primo sabato di lotta. Si tratta di una moltitudine in movimento: sono soggetti connessi orizzontalmente; provengono soprattutto dai settori meno modernizzati del paese, dalle zone periurbane o dal largo centro geografico (ed economicamente periferico) della Francia. Si tratta di classe media impoverita, legata ad organizzazioni produttive tradizionali, recentemente dinamizzate dalle riforme neoliberali e tuttavia meno valorizzanti di quelle dei settori dei servizi urbani e della produzione “cognitiva”.
Si diceva che l’agitazione è cominciata dalla rivendicazione di un abbassamento del prezzo del carburante, recentemente imposta da Macron ed ipocritamente legata alla spesa necessaria per rispondere ai mutamenti climatici. Quella rivendicazione si è subito allargata da un lato alla richiesta di un abbassamento generale delle tassazioni sul lavoro e sulla circolazione, alla richiesta di un aumento del potere di acquisto a fronte dell’aumento del costo della vita, ad una protesta contro l’ingiustizia fiscale ed in particolare contro l’eliminazione da parte di Macron delle tasse sulla grande ricchezza. “Macron banchiere, Macron dimissioni!” Ceto medio impoverito, dunque, periferico rispetto alla metropoli, e abitante nella Francia centrale, nei grandi spazi che questa presenta e nelle piccole città. Gente che lascia allo Stato due terzi del salario, tra mutuo della casa, imposte dirette, spese dei servizi pubblici e… prezzo del carburante. Perché l’automobile è il mezzo di lavoro principale per andare al lavoro, su un territorio dove i mezzi pubblici di comunicazione sono insufficienti, o per lavorare in servizi di alta mobilità (artigianali, infermieristici, di trasporto, ecc.). Il governo non solo ti mette le tasse sul “mezzo di lavoro” ma ti prende in ostaggio dicendoci che si tratta di pagare per un dovere civico: la difesa della vita nel mutamento ecologico. La risposta: “Macron ci parla della fine del mondo, il nostro problema è la fine del mese!” Basterà il congelamento delle misure fiscali, tra cui la tassa sul carburante, annunciato questo pomeriggio dal primo ministro Édouard Philippe a disinnescare questa miccia accesa o arrestare l’incendio?
Il movimento è interessante da analizzare. Nei blocchi stradali che presto si sono estesi alle grandi superfici di distribuzione nelle zone periferiche del paese, il movimento si presenta coeso e con aspetti localmente “parrocchiali” (vale a dire con organizzazione locale coesa). Quando invece investe la metropoli, si tratta di una vera e propria moltitudine, orizzontale, colorata e… incendiaria. Un movimento comunque “senza testa” (lo dicono gli avversari), vale a dire senza dirigenti, che si dichiara “né di destra né di sinistra”, che polemizza con la rappresentanza politica che considera in sé corrotta, e soprattutto si definisce anti-Macron. Strana conversione di grandi strati di popolazione che, in poco tempo, sono passati dall’elezione populista e centrista di Macron (che era riuscita a fare il vuoto dei partiti e delle opposte ideologie) ad una simmetrica protesta nei suoi confronti – effetto “specchio” populista.
Infiltrazioni di destra? È possibile. Bisogna sempre ricordare che in Francia movimenti analoghi hanno avuto a destra la loro primavera, come per esempio il poujadismo negli anni ’50. Ma non si deve esagerare – anche se è certo che gruppi estremisti di destra si muovono agevolmente nelle manifestazioni. Contatti con la sinistra? Non palesi al momento, anche se gli insoumis di Mélenchon hanno tentato l’intervento e la CGT ha ora aperto un contenzioso con il governo sulla massa salariale. Tuttavia, non sembra, al momento, che qualsiasi iniziativa di sinistra abbia la capacità di inserirsi e/o di dirigere il movimento. Inutile ripetere che in Francia il movimento anti-fiscale ha sempre avuto caratteristiche piuttosto di destra che di sinistra: il problema non è questo. È piuttosto che il ras-le-bol generale che è manifestato da questo movimento e dalla virtuale convergenza di lotte– anti-fiscali, ma anche attorno al welfare ospedaliero, al tema delle pensioni: problemi tutti aperti – e che comincia a configurarsi, scuote il paese dal basso all’alto (tra il 60 e l’80 % circa è favorevole ai gilets jaunes). Si noti bene che la convergenza delle lotte era stata ampiamente richiesta e cercata dai sindacati nei due lunghi periodi di lotta, prima sulla Loi Travail e poi attorno alla vertenza dei ferrovieri. Non era avvenuta. Si determinerà ora a destra? Non credo che questo sia ora il problema. La risposta comincerà ad apparire dopo il “quarto sabato”.

Ti spiezzo in due ... per cominciare!


venerdì 7 dicembre 2018

11.12.2018: Sacchetti di sabbia per i ministri


Carissime, i

la settimana prossima il GC discuterà la questione dei rimborsi spese del governo. Come avrete visto la cosa finisce in una sorta di insabbiamento generale.
Abbiamo deciso, come vi abbiamo già fatto sapere, di fare una piccola azione dimostrativa. Alcuni di voi si erano già annunciati per partecipare.
Ora, dopo varie riflessioni anche di tipo pratico, abbiamo individuato modi e tempi di questa azione.
L'idea resta quella di una azione dimostrativa durante la quale, all'entra del Parlamento, distribuiremo un sacchetto di sabbia ad ogni deputato.
L'azione si svolgerà martedì 11 dicembre dalle ore 13.15 alle 14.00. Dovremmo avere, oltre ai sacchetti, anche uno striscione con scritto: Sabbia per tutti!
Non ci vorranno moltissimi compagni/e per l'azione e speriamo di mobilitarne qualcuno diffondendo, a partire da stasera/domattina, l'invito via i social.
Detto questo avremmo bisogno di sapere:
- chi pensa di poter esserci martedì a quell'ora
- chi può responsabilizzarsi per fare lo striscione di cui si parla
Per i sacchetti di sabbia stiamo già provvedendo.
Fate sapere, il più presto possibile!

Ne approfittiamo per allegarvi l'editoriale del Corriere di oggi che Fabio Pontiggia ha avuto la bontà di dedicarci (fatelo circolare: è propaganda gratuita).

Il segretariato MPS


venerdì 23 novembre 2018

Ticino felix: Le spese del Ministro Gobbi

Comunicato del Segretariato MPS

Mentre continua la vergognosa sceneggiata sui rimborsi, emergono altri particolari sulle attività interne, proprio in questo ambito, dei diversi dipartimenti negli ultimi anni
Ce ne fornisce una interessante, seppur parziale immagine, uno degli allegati alla bozza di rapporto che la sottocommissione finanze della gestione ha trasmesso alla commissione della gestione; una bozza che, come si è potuto leggere sui giornali, ha già suscitato ulteriori controversie e divisioni tra i partiti, i quali sono in disaccordo su tutto, salvo sul fatto che i Consiglieri di Stato non debbano essere obbligati, attraverso una formale richiesta di restituzione, a rendere il maltolto. Ognuno rimborserebbe…à la carte!
In questo allegato, elaborato dal Controllo Cantone delle Finanze (CCF) si passano in rassegna una serie di spese attuate dai diversi dipartimenti e che hanno a che fare con le diverse spese di rappresentanza delle direzione dei Dipartimenti, al di là degli importi riconosciuti ai membri del governo.
Un breve confronto con gli altri dipartimenti (per gli anni 2015-2017) mostra come la direzione del Dipartimento di Norman Gobbi si pasteggi a son da campanin…Vediamoli un po’ più da vicino.
La prima interessante voce è quella relativa a quelle che vengono definite le “spese di rappresentanza” che il rapporto qualifica come “aperitivi e pasti con partecipazione di terzi, omaggi, bevande e consumazioni presso il CdS e i Dipartimenti”. Ebbene, in quanto ad aperitivi Gobbi il magro si abbuffa dieci volte più dell’ascetico e smagrito Vitta. Infatti a questa voce il DI vede una somma in grande crescita, dai 12’774 franchi del 2015 ai 20’048 del 2017, quasi un raddoppio.
Il DFE fa segnare somme che arrivano al massimo a 4’935 franchi (scendendo tra l’altro da questa somma nel 2015 ai 2’548 franchi del 2017). E gli altri sono allineati a queste cifre. Se si prende, ad esempio, il 2017 si constata che le direzioni degli altri quattro dipartimenti messi assieme spendono, per spese di rappresentanza, meno della metà del dipartimento di Gobbi (9’685 franchi in totale per i 4 contro i 20’048 già indicati).
Anche nel dettaglio di queste spese abbiamo cose interessanti. Gobbi si dimostra un ospite squisito, omaggiando a destra e a sinistra. Se le direzioni degli altri dipartimenti non spendono praticamente nulla in omaggio, il DI (nel 2017) spende ben 2’718 franchi…
Lo stesso discorso vale per “spese di rappresentanza (con la presenza di persone esterne all’amministrazione)”. Si tratta, dice il rapporto, di “spese per aperitivi e pranzi/cene alla presenza di persone esterne all’Amministrazione”. Ma anche qui sembra che gli unici affamati siano gli invitati di Gobbi il cui dipartimento svetta con i suoi 11’067 franchi (seguito, molto lontano, dai 2’841 franchi del DECS (si tratta dei dati del 2’017: raddoppiati, nel caso del DI, rispetto a quelli del 2015)
La musica non cambia con la voce “pranzi connessi alle sedute di lavoro del CdS e per eventi dipartimentali”: anche qui il DI di Norman Gobbi spende (nel 2017) quasi tre volte di più di quanto spende il dipartimento più costoso dopo il suo: 4’307 franchi contro i 1’649 del DSS. Una situazione leggermente migliore di quella del 2016 dove Norman era riuscito a spendere ben 6564 franchi (il secondo, ben distanziato, il DFE con 1’954 franchi).
Ci fermiamo qui. Basta e avanza!

Il "lusso"di sbagliare sempre a favore dei padroni

C:/Users/UTENTE/Downloads/articolo%20Fiscalit%C3%A0%20e%20settore%20moda.pdf
Comunicato MPS dopo i trasferimenti di importanti ditte della moda fuori Cantone.

mercoledì 21 novembre 2018

Meritocrazia


Sembra che ad Andrea Censi, consigliere comunale della “lega dei ticinesi”, siano andate di traverso le considerazioni di Matteo Pronzini (MPS) sul nuovo regolamento organico comunale della città di Lugano che abolisce gli scatti di stipendio automatici (anzianità) con aumenti al merito. Niente di che, intendiamoci, ognuno è libero di scrivere ciò che ritiene opportuno, ma pretendere di spiegare al gran consigliere “rompiscatole” (parole sue) il significato intrinseco del sostantivo MERITOCRAZIA citando Luca Cordero di Montezemolo, storico portaborse della famiglia Agnelli, penso sia come definire l’infinita carneficina di palestinesi civili, attuata da tutti i governi israeliani, misura legittima per combattere il terrorismo.

Articolo del deputato leghista: 
http://www.mattinonline.ch/it/article/38793/andrea-censi-pronzini-attacca-la-meritocrazia-naturale-se-fosse-applicata-a-lui

lunedì 19 novembre 2018

I socialisti ticinesi e il loro Poeta.

Congresso ad .

Il poeta ha impegnato, per circa un quarto d'ora, dirigenti e iscritti. Parole importanti già perdute, in tempo reale, come lacrime nella pioggia.


giovedì 18 ottobre 2018

Esistono eroi...

Esistono eroi dal cuore d'acciaio e barbe di ghiaccio e donne che hanno volti e sorrisi incantevoli, ma a noi servono operai che sappiano lavorare di martello e contadini esperti con la falce; poi, se la situazione lo richiede, anche con un AK47.

(libero adattamento di un proverbio cinese)

Modena City Ramblers - Contessa

mercoledì 17 ottobre 2018

Autogestione a Lugano (Svizzera felix)

http://www.inventati.org/molino/rivolta/il-molino-non-si-tocca/

Dal comunicato degli occupanti:

...Ma come sempre, dall’alto della loro arroganza, fanno i conti senza l’oste. E l’ipotetico dialogo, come già avvenuto durante gli ultimi disastrosi incontri di 2 anni orsono è unicamente seguire i loro dettami. Quindi ci chiediamo perché, dopo 20 anni di pseudo incontri, siamo ancora a questo punto. E ora con chi ci dovremmo mettere a parlare? Con chi è incapace di un minimo di coerenza e di affidabilità? Con chi ci viene a incontrare con aria amichevole e compagnuccia e poi parla con lingua biforcuta? Con chi fa della sicurezza il suo mantra personale, unico e irrinunciabile? O peggio ancora con chi vomita sterchi da una spazzatura domenicale? E con quale scopo se il progetto è già in corso e condiviso all’unanimità municipale? O forse per mendicare una micro parcella dove fare attività senza disturbare?
No, grazie. La libertà si conquista, non si mendica e ci risulta chiaro che la discussione sarebbe, per l’ennesima volta, monca dall’inizio. Insomma mancano i presupposti, come direbbe qualcuno. E a noi di partecipare a questa farsa proprio non va. Perché, al di là dei proclami, è evidente l’incapacità di riconoscere una realtà che da 20 anni è viva e attiva sul territorio e che rappresenta un luogo politico di socialità, di svago, di cultura, di intrattenimento e di sperimentazione per ormai alcune generazioni di ragazze e ragazzi. Una realtà viva e consolidata che al proprio interno non ha mai creato problemi rilevanti, al di là di un incendio nel ’98 i cui autori rimangono (chissà?) ancora ignoti e altri due dovuti alle cattive modalità di gestione degli spazi in dotazione al comune.
Insomma al di là delle tante parole, qua siamo e qua resteremo.
Quello che possiamo e ci sentiamo di fare e di dire è continuare il nostro cammino, invitando tuttx le/gli interessatx a lottare e a opporsi a questa visione della città dall’alto.
A sostenere le iniziative e a solidarizzarsi con tutti gli spazi in resistenza, autogestiti, autonomi, che promuovono una reale cultura a portata di tuttx (che ancora resistono), locali e in tutto il mondo.


venerdì 12 ottobre 2018

Allo "studio ovale" si studia già il nuovo look

Lei nega, ma fra due (sei ?) anni la vedremo qui ...


...più per mancanza di avversari che per doti proprie.



Sempre al netto di guai finanziari e scandalucci vari





Pensierino del giorno

Le guerre dei ricchi le combattono i poveri, e quelle dei poveri i "provocatori" e i "terroristi"

giovedì 27 settembre 2018

Anche il cancelliere dei ministri ha intascato più del consentito

Il cappotto si avvicina: l'MPS marca un nuovo punto (4 a 0)
 
 
I giornali hanno dato notizia questa mattina della decisione dell'ex-cancelliere di Stato, Gianella, di restituire due mesi di stipendio incassati indebitamente alla fine del proprio mandato. Decisione saggio, seppur tardiva.
Questa situazione era stata denunciata da una serie di interventi parlamentari dal deputato dell'MPS Matteo Pronzini, sempre nell'ambito delle denunce sui privilegi illegali del Consiglio di Stato.
Resta aperta, relativamente al Cancelliere di Stato, la questione dell'aumento salariale di cui ha beneficiato poco tempo prima del suo pensionamento. Il governo, rispondendo ad una interrogazione del deputato MPS, ha motivato quella decisione sulla base del famigerato articolo 7bis, quello che permette al governo di premiare funzionari particolarmente meritevoli.
Ora quella risposta non corrisponde alla verità. Prova ne sia che il governo, sollecitato dal deputato MPS, rifiuta di consegnare la risoluzione sulla base della quale quel cospicuo aumento (che poi andò a far lievitare la pensione del Cancelliere) venne deciso. Il governo quindi non la racconta giusta. Può, se lo vuole, denunciarci: ma sappia che dovrà esibire quella risoluzione.
Naturalmente tutto questo verrà etichettato come "politichetta": quando il governo decide di tagliare le pensioni dei dipendenti cantonali (o di modificarne la scala salariale) quella è "vera" politica; quando invece si denunciano privilegi pensionistici e salariali di quello stesso governo, allora quella è politichetta.
Intanto aggiorniamo il risultato: la nave del governo sta moralmente affondando e la partita tra MPS e governo sta assumendo risultati tennistici.
E il bello deve ancora venire!
 
 
Per il segretariato MPS
 
G. Sergi

mercoledì 26 settembre 2018

I ministri hanno fatto cilecca!

MPS 3 - Consiglio di Stato 0:  Si va verso il cappotto!




Il Movimento per il socialismo (MPS) ha preso atto con soddisfazione della decisione del Procuratore Generale di archiviare, perché priva di fondamento, la denuncia che quattro consiglieri di Stato (Beltraminelli, Gobbi, Vitta e Zali) avevano inoltrato qualche settimana fa contro il deputato dell’MPS Matteo Pronzini, colpevole ai loro occhi, di averli calunniati per aver segnalato al PG che i quattro continuavano a ricevere l’indennità telefonica di 300 franchi mensili, malgrado da gennaio 2018 fosse assodato che tale versamento non era conforme alle disposizioni di legge.
È vero che, in data odierna, il PG ha anche deciso di non dar seguito alla segnalazione di Matteo Pronzini, poiché nel comportamento dei quattro consiglieri non si ravvisa un’intenzione dolosa. Prendiamo atto di questa decisione, facendo tuttavia notare come a questa conclusione (e lo rileva lo stesso PG) abbia contribuito la decisione dei quattro di rinunciare al versamento di tale indennità, decisione presa dopo la segnalazione di Pronzini.
In questo senso non possiamo che esprimere soddisfazione per aver comunque raggiunto l’obiettivo che ci eravamo prefissi: far cessare l’erogazione di un contributo illegale.
La decisione del non luogo a procedere nei confronti di Matteo Pronzini rappresenta una nuova figuraccia per il governo; il quale meglio farebbe a preoccuparsi di mettere ordine e di chiarire la propria situazione pensionistica e quella dei propri predecessori.
A questo proposito l’MPS prende atto delle varie indiscrezioni giornalistiche apparse oggi su diversi quotidiani e dalle quali risulterebbe che una perizia interna all’amministrazione, del consulente giuridico del Gran Consiglio, giungerebbe alle stesse conclusioni (per quel che riguarda la legalità della rendita transitoria AVS (rendita ponte) versata ai consiglieri di Stato che hanno terminato il proprio mandato) della perizia allestita dal professor Grisel – su richiesta dell’MPS – e resa pubblica negli scorsi giorni.
Dopo la perizia che confermava la illegalità dei rimborsi e la legittimità della richiesta di restituzione, dopo il non luogo a procedere odierno nei confronti di Matteo Pronzini, sarebbe questo un terzo colpo subito dal governo.
E la lista non potrà che allungarsi alla luce del nuovo capitolo rilanciato ieri con la denuncia da parte dell’MPS dell’illegalità e del trattamento di favore che il Consiglio di Stato riserva ai propri membri in materia di riscatto di anni di servizio e di contribuzioni onde poter usufruire di migliori condizioni pensionistiche.


lunedì 24 settembre 2018

Svizzera di lingua italiana:La scuola dei padroni

Il 40% dei votanti ha bocciato il progetto sperimentale sulla scuola sostenuto (a parole) dall'area social-liberale del cantone Ticino.
Cosa cambierà? Nulla.
Il ministro (socialdemocratico) resta in carica, la scuola continuerà ad essere sempre più simile alla fabbrica, chi ha perso darà la colpa a chi ha vinto e a coloro che non si sono impegnati abbastanza.
La destra dirà che ha fermato la "scuola rossa" e la sinistra che si è persa l'occasione per migliorare l'educazione dei giovani.
Poi ci saranno gli strateghi della domenica a prevedere sommovimenti reazionari e trappole per la sinistra parlamentare, come i giovanotti del partito comunista.


Leggo nel loro comunicato sull'esito della votazione; "Il rischio è ora che il PLR e il PPD mollino il PS  e si buttino quindi furbescamente a destra per riciclare alcune delle proposte di UDC & Co. volte a privatizzare la scuola, a mantenere la selezione precoce e a mettere in concorrenza fra loro gli allievi".

Mi domando: Uno dei compiti principali del PC, in questa e nella prossima legislatura, è forse quello di far sì che il PS non venga mollato dagli altri due partiti "storici"? La proposta di congiunzione delle liste è motivata dall'eventualità di questo "pericolo"? Se la risposta fosse due volte "sì" prepariamoci a rimboccare le coperte  per il lungo sonno della "sinistra parlamentare", logorroica a Palazzo, timida  nel territorio e assente in fabbrica. Già la fabbrica; Il modello che la scuola  attuale (e pure quella che doveva venire) ha ormai preso come esempio strategico in tutti i suoi multiformi aspetti.
Sbaglio o nessuno degli "addetti ai lavori" l'ha semplicemente sussurrato in campagna elettorale?
Due parole sulla citata " concorrenza fra gli allievi", partendo dall'alto. Master USI. Domanda del docente: Siete qui per quale futuro? Risposta: Fare soldi. Liceo di Lugano: Accettereste un posto presso campi di concentramento, detenzione coatta o lager? Perché no, se la paga è buona! Prime classi di scuola media in un quartiere della grande Lugano: Se mi fai copiare ti do cinque franchi.
Tralascio, per clemenza, le scuole elementari dove tira un'aria anche peggiore.
Insomma, la scuola che c'è, c'era  prima e anche ... dopo.

E qualcuno ha avuto pure il coraggio (eufemismo) di chiamarla ROSSA.


giovedì 20 settembre 2018

mercoledì 12 settembre 2018

Bellinzona, Svizzera felix

Consiglieri di Stato, pena e vergogna!
Lo scorso 27 agosto, prendendo atto che malgrado la chiara e appurata situazione di illegalità, quattro dei cinque consiglieri di Stato continuano a percepire alcune indennità (in particolare quella di 300 franchi mensili per l’abbonamento telefonico), il deputato Matteo Pronzini si rivolgeva al Procuratore Generale con un breve scritto (reso pubblico) che così concludeva: “Poiché la conoscenza di questa situazione d’illegalità non ha provocato alcun ravvedimento da parte dei diretti interessati (con l’eccezione di Manuele Bertoli), le chiedo formalmente di verificare, intraprendendo gli atti procedurali che riterrà necessari, se i rilievi e le conclusioni concernenti l’elemento soggettivo contenuti in particolare nel secondo decreto d’abbandono adottato dal Suo predecessore rimangono validi a far tempo dallo scorso mese di marzo, o se deve invece essere promossa, contro i Consiglieri di Stato attualmente in carica, l’accusa per reato di abuso d’autorità o altri eventuali reati”.
Una segnalazione chiara e precisa, conseguente ad una risposta ad un’interrogazione parlamentare dello scorso mese di giugno dalla quale risultava evidente che le pratiche illegali continuavano malgrado fossero state chiaramente indicate come tali.
Un atto che qualsiasi altro parlamentare degno della carica che riveste avrebbe dovuto fare. Come noto è dovere dei deputati segnalare all’autorità inquirente qualsiasi situazione che presenti apparenza di illegalità.
Ora anche il più sprovveduto dei giuristi potrebbe dirci che la “querela” presentata da quattro consiglieri di Stato è, dal punto di vista giuridico, penosa. Non vi è nemmeno l’ombra di un estremo che possa in qualche modo configurare i reati vaneggiati dai consiglieri di Stato.
I quali si comportano come quell’automobilista che, richiamato da un agente di polizia per aver aver parcheggiato con la propria fuoriserie su un posto per disabili, se la prende querelando l’agente di polizia. Siamo a questo punto.
È tuttavia evidente la ragione di questa sortita: cercare di far pressione sul deputato dell’MPS Matteo Pronzini e sull’MPS, rei di aver denunciato il malandazzo. È ormai la linea sulla quale sono attestati tutti i maggiori partiti, a livello cantonale come a livello comunale (basti pensare alle denunce con le quali si spera di fermare la nostra azione sulla vicenda ABAD a Bellinzona).
Un tentativo, miserabile, di mettere un bavaglio ad una opposizione che fa il lavoro dell’opposizione e che non si prostra davanti ai diktat del governo. E non solo su questioni di carattere politico, ma anche su questioni che hanno una rilevanza etica fondamentale e attengono al rispetto delle leggi che, per primi, i membri del governo dovrebbero praticare.
Non sorprende che questo attacco del governo arrivi proprio in concomitanza con la diffusione di una perizia giuridica, voluta dalla commissione della gestione e redatta dal giurista del consiglio di Stato, che conferma come la richiesta inoltrata da Matteo Pronzini, tesa alla restituzione da parte dei consiglieri ed ex-consiglieri di Stato di quanto indebitamente percepito in materia di rimborso spese, sia legittima. In altre parole: forse saremo costretti a pagare quanto indebitamente ricevuto e allora denunciamo chi ci ha denunciato questo fatto. I querelanti dimostrano di avere lo spesso istituzionale della carta velina!
E non ci si venga a dire che ci sono altre questioni importanti per il Cantone: proprio su quelle (dalla lotta contro il dumping salariale alla difesa dell’Officina, dalla difesa degli ospedali pubblici fino alla
denuncia del malessere nelle case per anziani e in alcuni servizi sociali) l’MPS (e il suo deputato) sono stati protagonisti di campagne che hanno lasciato il segno.
Ci chiediamo: il rispetto della legalità, soprattutto da parte della massima autorità preposta a vigilare sul suo rispetto, non è forse una questione importante? Strano modo di riflettere da parte dei paladini della democrazia liberale.
L’MPS e il suo deputato affrontano con decisione e serenità questa situazione, sicuri che le denunce di illegalità riscontrate e dei comportamenti miserabili dei governanti e di chi li sostiene siano in sintonia con le aspirazioni di buona parte della popolazione ticinese. Che il proprio abbonamento telefonico se lo devono pagare per intero e fino all’ultimo centesimo.

Bellinzona, 12 settembre 2018
Comunicato MPS mps.ti@bluewin.ch 

lunedì 3 settembre 2018

Autogestione a Lugano



La memoria corta di Sergio Roic – di Carlo Curti

Polemiche a sinistra sui "Molinari"

Fonte:http://www.ticinolive.ch


Sulla Regione del primo settembre è possibile leggere la versione istituzionalizzata dell’autonomia luganese targata PS. Intendiamoci, niente di scandaloso, ognuno in questo mondo sbandato può scrivere ciò che gli piace, soprattutto se lo fa dalla seggiola giusta sotto i glutei. Per Roic tutto comincia negli anni 90 e racconta di un movimento aperto, culturalmente alternativo, democratico e tutto sommato pacifico. Peccato si sia dimenticato di ciò che accadde, proprio a Lugano, nella prima metà degli anni 70. Manifestazioni spontanee, tafferugli con la polizia comunale, sit-in sulla gratuità dei trasporti pubblici, dei libri scolastici, le campagne per i 1000 franchi di salario agli apprendisti, la simbolica occupazione del “Venezia” per salvarlo dagli appetiti di chi, a quel tempo, si faceva chiamare “Innovazione” e da scandalosi piani regolatori che hanno ridotto il centro cittadino a grande giostra di supermercati.
Eh sì, caro Roic, la storia se si decide di raccontarla, bisogna farlo per intero. Il libro di Roberto Raineri-Seith “il luogo che non c’è” (edizioni Casagrande 1997) potrebbe aiutarla con poca spesa. Se poi decidesse di non ricalcare le orme di chi allora era “rivoluzionario” e oggi sinistrato, può sempre avvalersi della consultazione del mio archivio personale.
Questo per aiutarla a non cadere nel vizietto storico della socialdemocrazia: Definire provocatore chi osa andare oltre lo stato presente delle cose.

giovedì 30 agosto 2018

Quando i socialdemocratici avevano (almeno) le palle e pagavano di persona.


Mosca,30 agosto 1918
Attentato al termine di un comizio alla fabbrica Mihelson di Mosca per il leader sovietico V.I.Lenin.
Mentre sta per salire in auto una donna gli spara tre colpi di pistola, ferendolo.

"Il mio nome è Fanya Kaplan. Oggi ho sparato a Lenin. L'ho fatto da sola di mia propria iniziativa. Non rivelerò chi mi ha procurato la pistola. Non darò nessun dettaglio. Decisi di uccidere Lenin molto tempo fa. Lo considero un traditore della rivoluzione. Fui esiliata ad Akatui per aver partecipato a un attentato contro un ufficiale zarista a Kiev. Ho passato 11 anni in un duro campo di lavoro. Dopo la rivoluzione, fui liberata. Ero favorevole all'Assemblea Costituente e lo sono ancora adesso".

La Kaplan fu giustiziata con un colpo di pistola alla nuca, quattro giorni dopo, e il cadavere cremato. L'ordine partì da Jakov Sverdlov che, sei settimane prima, aveva ordinato l'uccisione dello zar Nicola II e dalla sua famiglia.



sabato 18 agosto 2018

La repubblica delle stragi e dei funerali di Stato

Sabato a Genova ci saranno i funerali di stato di una parte delle vittime del crollo del ponte di Genova.


Il termometro della rabbia nei confronti delle autorità la fornisce la fredda statistica sulle «adesioni» ai funerali di Stato. Su 38 vittime (accertate) sabato, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella  e sotto gli occhi dell’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco — ci saranno soltanto 14 bare. Per 17 morti i parenti hanno preferito le esequie nei luoghi di origine, non senza risentimento. Per i rimanenti 7 si deciderà nelle prossime ore.

Domani a Genova ci saranno le massime autorità: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, i presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, il presidente della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con i vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, il governo al completo, il Capo della Polizia, Franco Gabrielli, il Comandante generale dell’Arma dei carabinieri Giovanni Nistri, il governatore della Liguria, i vertici delle istituzioni genovesi, il Capo del Dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli, il Capo del Dipartimento dei vigili del fuoco Bruno Trattasi.

Le autorità faranno la loro passerella. Forse qualcuno prenderà la parola per dire che simili stragi non capiteranno mai più. Quante volte li abbiamo sentiti. Poi ci sarà una nuova strage.

Per gli operai le massime autorità non pensano alla farsa dei funerali di stato. Solo fino ad oggi nel 2018 sono già 400 gli operai vittime della strage nelle fabbriche.  Se si contano gli operai morti nel tragitto per andare al lavoro le vittime sono 650. Non è mai colpa  dei padroni. Non è mai colpa della loro ricerca del profitto più alto.

Per gli operai le massime autorità politiche dello stato dei padroni non sprecano neanche più le parole. I sindacati confederali parlano ogni volta di cultura della sicurezza.

Politici e sindacalisti nascondono i responsabili di queste stragi e il loro motivo: i padroni e la ricerca di un profitto sempre più alto.

Lo stesso capita a Genova. Benetton è libero di circolare, dopo 40 morti. Il governo  minaccia di revocare la concessione ad Autostrade di Benetton. Revocare la concessione a Benetton, non riporterà in vita gli uccisi. La magistratura indagherà e forse tra venti anni arriverà ad una conclusione. Per la strage di Ustica, con 81 morti, si aspetta una sentenza da 38 anni. Intanto nessuno tocca il padrone. Intanto nessuno tocca i profitti.

Per eliminare queste stragi occorre eliminare i padroni e il loro profitto.

Un operaio di Genova

Fonte:http://www.operaicontro.it

giovedì 9 agosto 2018

Sul Nicaragua

https://www.forumalternativo.ch/2018/08/05/nicaragua-meno-fake-news-e-pi%C3%B9-oggettivit%C3%A0-prego/


Sì, ma quando si fanno concessioni alla chiesa e al padronato, poi si raccolgono gli stracci e il malcontento strumentalizzato.