giovedì 21 giugno 2018

USA: segretaria alla sicurezza in ristorante messicamo

https://video.corriere.it/segretario-dipartimento-sicurezza-contestata-costretta-abbandonare-ristorante-messicano/b88c2e9a-74ac-11e8-993d-4e6099a1c06b

Un pranzetto, tète-à-tète, indigesto !


mercoledì 13 giugno 2018

Cose che capitano anche nella Svizzera felix

http://gas.social/2018/06/posta-anno-zero/

POSTA ANNO ZERO

Altro che dimissioni della direttrice generale Susanne Ruoff. La vera notizia bomba è la decisione senza precedenti presa dal consiglio d’amministrazione della Posta che ha scelto di tagliare di netto tutta la direzione alla testa di AutoPostale. Zac!



Altro che dimissioni della direttrice generale Susanne Ruoff. La vera notizia bomba è la decisione senza precedenti presa dal consiglio d’amministrazione della Posta che ha scelto di tagliare di netto tutta la direzione alla testa di AutoPostale. Zac! A imporsi è stata una scelta drastica, ma inevitabile, maturata sulla scorta della perizia condotta dal gruppo di esperti indipendenti assoldati per chiarire quali siano state le irregolarità contabili proprio nella gestione di AutoPostale.
Risultati che non hanno lasciato spazio a dubbi o interpretazioni di sorta. La conclusione è stata chiara. Lapidaria. Per anni si è giocato sporco truccando bellamente i bilanci. Con un unico scopo: far credere quel che in realtà non era. Proprio come nel caso di Lehman Brothers, Babbo Natale e altre favole della moderna finanza. Storielle di sicuro avvincenti ma perlopiù farlocche, anni luce dalla realtà dei fatti. Balle inventate di sana pianta da imbonitori senz’arte né parte, gente con stomaci foderati d’amianto, capaci delle peggio cose. Porcate fatte nel nome del sacro profitto manco fosse il Santo Graal.
“Il CdA trae ora conseguenze a livello operativo e di personale compiendo così un primo passo verso un nuovo inizio”, si legge in un comunicato che fotografa lo sfascio attuale e la sfiducia verso un’istituzione all’interno della quale, per anni, i trasferimenti contabili fatti in maniera arbitraria e del tutto illecita erano all’ordine del giorno. Le manipolazioni contabili e l’occultamento sistematico dei dati reali venivano eseguiti giornalmente, con grande leggerezza. Da qui l’esonero con effetto immediato di Susanne Ruoff e compagnucci di merende.
Morale della favola? Confederazione, Cantoni ma anche ognuno di noi è stato preso per anni per i fondelli e lo scandalo delle sovvenzioni statali intascate illecitamente riguarda anche la Svizzera italiana. Quasi 14 milioni di troppo in Ticino; circa il doppio nei Grigioni. Soldi che la Posta dovrà restituire fino all’ultimo centesimo. Un’operazione non certo breve al termine della quale si conoscerà effettivamente l’ampiezza di questo disastro il cui cumulo di macerie ricorda tanto quelle della Berlino postbellica.
Fonte:http://gas.social/

sabato 9 giugno 2018

Università svizzere? Dall'ottimo (ETH Zurigo) all'insignificante (USI-Lugano)

La classifica annuale dei migliori atenei del mondo è impietosa con il Ticino: l’USI non c’è e mai c’è stata.



È appena uscita la nuova classifica dei migliori atenei mondiali, elaborata dal QS World University Rankings, Ai primi posti ci sono sempre le migliori università USA – MIT, Stanford e Harvard – ma il Politecnico di Zurigo si piazza al settimo posto assoluto (al quarto posto delle università tecniche). Il Poli di Losanna è uscito dalle top 20 (22esimo posto, rispetto al 12esimo dello scorso anno), poi abbiamo le altre svizzere: Zurigo (78esimo rango), Ginevra (108), Berna (139), Losanna (149), Basilea (160), San Gallo (375) e Friburgo, inserito nel gruppo tra la 601 e la 650esima posizione. E Lugano? Non c’è e non c’è mai stata. Come mai? In questa banca dati si può selezionare le facoltà delle varie università e quando andiamo a spulciare quella di Lugano – descritta con tutte le sue facoltà – l’unica citata e quella di informatica posizionata attorno al 400° rango mondiale.
Pur con tutti i limiti di queste classificazioni, possiamo più o meno concludere dicendo che non vale un granché e sicuramente molto meno di quanto ci vogliono far credere. Infatti, se andiamo a vedere le pubblicazioni delle facoltà, i curriculum dei vari professori, e le citazioni scientifiche, siamo veramente messi malino. Ma in Ticino è un tabù. Eppure, varrebbe la pena discuterne anche semplicemente perché costa molto (leggi qui il documento).
Certo la formazione costa, ma sarebbe meglio se fosse di qualità, e non un semplicemente prolungamento del liceo. L’USI in questi anni non ha generato ricadute scientifiche degne di questo nome, e certamente non ha cambiato l’andamento economico del Cantone. (Basterebbe confrontare i lavori dell’Ire prima dell’USI e dopo)
Naturalmente il discorso dovrebbe essere esteso alla Supsi. Le scuole universitarie professionali (si chiamano universitarie solo in Ticino!) sono state volute per trasferire i risultati scientifiche delle università, ed in particolare delle due scuole politecniche, nel mondo economico e produttivo. Da noi la Supsi è diventata invece un carrozzone, dove sono entrati un po’ tutti, con strutture interessanti, ma in generale con molto fumo e poco arrosto.
Anzi, il fumo sembra essersi diffuso a macchia d’olio, monopolizzando buona parte della ricerca (ma è quasi un eufemismo). Un’altra occasione mancata?
Fonte:http://gas.social/

venerdì 8 giugno 2018

La Svizzera felix uccide a rate?

... a rate, col leasing e anche in contanti !

Fonte:http://gas.social/



E’ stato il portale grigionese “Republik” a svelare i particolari “shocking” dell’arresto del “whistler-blower” Adam Quadroni, che rivelando le malefatte del cartello engadinese degli impresari costruttori ha causato un terremoto politico, costringendo il candidato Andreas Felix del Partito Borghese Democratico a ritirarsi e il PBD a rinunciare in partenza a un seggio in Governo. Per quanto i colleghi  di “Republik” abbiano fatto ricerche approfondite sul caso e sull’uomo Quadroni, al momento abbiamo solo la sua versione dell’arresto e non quella della polizia. Ma ora il governo grigionese, a pochi giorni dal voto del 10 giugno, ha incaricato la procuratrice generale esterna Esther Omlin (Obwaldo) di fare chiarezza, raddoppiando così un primo incarico assegnato, sempre all’esterno, al procuratore Andreas  Brunner del canton Zurigo. Quadroni afferma di essere stato arrestato da una decina (!) di poliziotti mascherati in assetto antisommossa che dopo aver fatto esplodere fumogeni hanno scardinato la porta della sua vettura, l’hanno brutalmente estratto per i capelli, gettato  a terra, ammanettato, bendato e trasportato in un viaggio al buio di due ore in una clinica psichiatrica: “per proteggere gli altri, e se stesso, da possibili atti di violenza”.
La clinica ha poi rilevato errori formali nel rapporto medico di consegna del paziente, e in seguito, stabilito che se nella vicenda c’era qualche “matto”, la definizione non era compatibile con il soggetto consegnato a viva forza. Non sappiamo chi abbia presentato la denuncia, sappiamo che durante l’assenza la moglie è scappata in Ungheria con i 3 figli. E sappiamo che Quadroni faceva parte della società degli impresari costruttori engadinesi che  si spartiva i lavori così: la “cupola” engadinese stabiliva a turno chi doveva vincere l’appalto, aumentando nettamente i costi, secondo la Commissione federale per la concorrenza (COMCO) sino al 45%. Tutte le altre imprese dovevano inoltrare un’offerta ancor più alta, in modo da essere certi che l’appalto non sarebbe sfuggito al designato di turno dai “mammasantissima” della “cupola”. La COMCO afferma che dal 1997 al 2008 il cartello engadinese ha manipolato 400 appalti per  un valore di 100 milioni di franchi causando gravi danni ai contribuenti, costretti a pagare più tasse per lavori pubblici che si potevano fare per molto meno. A un certo punto Adam Quadroni, disgustato, denuncia il malaffare, su pressione del padre, dice. I suoi nemici affermano che non lo fa per “salvare l’anima” ma perché la “cupola” non gli da abbastanza. In un modo o nell’altro, il fatto è che Quadroni si rivolge all'”autorità” ma trova porte chiuse.
Jon Domenic Parolini, sindaco di Scuol, dice che è vero, l’ha sentito, ma Quadroni non presentava nessuna prova dei fatti, e dunque non ha agito. Tutti gli altri, a partire da Felix, segretario generale degli impresari costruttori grigionesi, non si sono mai accorti di nulla. Fuori dal “cartello” Quadroni cerca di sopravvivere, ma è costretto al fallimento. Nessuno gli da la materia prima, dalla ghiaia alla sabbia. Diventa un “Nestbeschmutzer”, uno che la fa nel nido, in italiano uno che sputa nel piatto dove mangia. Cominciano a circolare strane voci, la gente mormora: picchia la moglie e i figli, minaccia i vicini, minaccia il suicidio. Quadroni nega, sino alla denuncia, a noi ignota, che induce la polizia a intervenire in assetto da guerriglia urbana. Certo:  passare da una vita agiata al fallimento provoca scompensi, ma gli psichiatri negano che ci fosse un pericolo tale da passare al brutale arresto. Ora le denunce si intrecciano: Quadroni stesso, ma anche il direttore del Dipartimento di Giustizia Christian Rathgeb, e anche il proprietario della “Foffa-Conrad”, Conrad Roland, multato dalla COMCO con ben 5 milioni dei 7,5 decretati in totale dalla COMCO, ricorre.
In questa vicenda ci sono dati e supposizioni che toccano nell’intimo il nostro modo di essere:  se Quadroni dice la verità, o anche solo parte della verità,  fra la lenta e inesorabile morte “civile” rossocrociata e  quella dei “corleonesi”, che il cemento lo usano per i palazzi, ma anche per fondere e calare a mare gli “infami”, la scelta non è facile.  Che ci sia del marcio anche nella nostra “Danimarca”, sulle alte valli engadinesi?

Il finto funerale di Marchionne( FIAT) legittima il licenziamento di 5 operai

Marchionne contro Mimmo Mignano, chi poteva vincere la causa? Naturalmente Marchionne, più in alto si va e più è compatto il potere.

La Cassazione sa di cosa parla: del potere del padrone sui suoi operai, sui suoi schiavi salariati e non poteva dare un segnale che incrinasse questo potere che deve essere assoluto ed indiscutibile. Non poteva reintegrare gli schiavi che hanno osato sbeffeggiare il padrone inscenando il suo funerale pubblico per richiamare l’attenzione su tanti operai messi in cassa dalla Fiat che partecipavano ai funerali veri di numerosi compagni di lavoro che presi dalla disperazione si suicidavano.

Le sentenze si giudicano, si impugnano, si combattono. Forse la Fiat ha accettato la sentenza del tribunale di Napoli che reintegravano i 5 operai: no, è ricorsa in Cassazione e per 4 anni non li ha rimessi a lavorare nei loro posti di lavoro. È ricorsa in Cassazione perché qui era sicura di ottenere un giudizio a proprio favore. Qui non ci sono smagliature, le leggi e la loro interpretazione devono servire a salvaguardare le fondamenta di questo sistema, la sottomissione degli operai alla disciplina di fabbrica va garantita.

In modo particolare oggi alla Fiat. Il gruppo di operai licenziati non è stato fermo, ha organizzato scioperi e proteste, si è opposto al regime di fabbrica instaurato da Marchionne nelle sue fabbriche-galere. Oggi ancora di più di fronte al piano industriale che prevede ancora Cigs e licenziamenti di massa, il ruolo di questi compagni diventa fondamentale per la ripresa della lotta degli operai.

Poteva la Cassazione non interpretare i bisogni del management della Fiat di essere liberato da queste schegge capaci di bloccare l’ingranaggio del nuovo piano?

La corte di Cassazione è politicizzata nel significato più profondo del termine, non è controllata da questo o quel partito, ma interpreta una sola parte politica, quella della classe che domina la società, la classe dei padroni.

Marchionne non pensi di avere con la sentenza, saldati i conti con gli operai ribelli della Fiat. La sentenza non è il pronunciamento neutrale, obbiettivo, è un pronunciamento fatto per conto del padrone e come parte avversa lo respingiamo.

La lotta continuerà contro i licenziamenti, i salari da fame, la morte sul lavoro. Il terreno su ci confronteremo non saranno le aule dei tribunali, ma le linee di montaggio, le piazze.

sabato 2 giugno 2018

Noi siamo Mamoudou

Era passato dal Niger. Mamoudou Gassama avrebbe potuto scomparire da sconosciuto nel deserto o nel mare Mediterraneo, complice occasionale dei migranti. Poteva essere stato detenuto, derubato e rimandato nel suo nativo Mali in una delle qualsiasi frontiere che ha sfidato fino in Francia. Ve lo dicevamo che i Mamoudou arrivavano per salvarvi e non ci facevate credito. Adesso che il governo francese gli ha promesso la naturalizzazione per avere soccorso un bimbo in pericolo di vita ci darete ragione. Qui nel Sahel formiamo scalatori di palazzi, badanti, raccoglitori di frutta, venditori di giornali, tecnici di laboratorio, inventori di frontiere, pizzaioli, imbianchini, trapezisti, mendicanti  e giocatori della nazionale di calcio. Facciamo quello che possiamo per accontentarvi e renderci utili alla vostra missione civilizzatrice. Perché forse avete perso il pelo ma non il vizio coloniale. Quello vi accompagna tutt’ora e lo trasmettete alle nuove generazioni. Quelle appunto che noi salviamo sfidando la forza di gravità delle vostre politiche che condannano gli umani per ciò che sono e non per ciò che fanno.

Noi siamo Mamoudou. Ci avete fatto l’elemosina di un documento che ci permetterà di passaresulle vostre strade a testa alta. Come degli eroi perché un Mamoudou qualsiasi di 22 anni ha preso per mano un figlio vostro destinato a precipitare nel vuoto. Financo lo stesso presidente che vi rappresenta ci ha ricevuti con tutti gli onori del caso. Pensate di regolarizzarci con un foglio di carta e poi, fra tre mesi,  un permesso di soggiorno della durata di dieci anni. Infine vorreste ‘naturalizzarci’ e farci diventare come uno di voi. Non ci riuscirete perché rimarremo diversi da voi. Con le mani nude, le stesse che abbiamo portato da lontano, ci arrampicheremo sui vostri palazzi che non sono diversi dalle frontiere di fili spinati sui quali ci siamo allenati per anni. Ecco perché scaleremo le vostre montagne di indifferenza ipocrita che mette al bando la solidarietà tra umani. Il delitto di solidarietà col quale condannate chi salva le nostre vite non l’avete applicato con Mamoudou. Siete rei di complicità nel creareun mondo che vi seppellirà nella tristezza.

Il vostro presidente Macron, che dice di non poter accogliere, non diversamente dagli altri, tutta la miseria del mondo ci ha ricevuti e fatto gli elogi. Altri, simili a lui, volevano darci una medaglia, la legione di quell’onore che avete perso per sempre dall’avventura coloniale fino ad oggi. Non avete perso però il vizio di mettere voi e il vostro mondo come baluardo della civiltà e unico criterio della storia. Avete semplicemente fallito e con voi i diritti che dite di mettere per iscritto nei codici che di civile non hanno più nulla. Ci avete offerto un contratto di dieci mesi da apprendista pompiere per farci spegnere gli incendi che la nostra presenza propaga. Non ci riuscirete, ve lo assicuriamo senza nessun timore.  Con Mamoudou siamo partiti nel 2013, e fanno cinque anni spesi per cercare di raggiungervi e salvarvi. Un anno di più del bimbo francese sospeso nel vuoto.Una mano aggrappata al terrazzo e l’altra afferrata per dargli la vita che lo abbandonava al silenzio della sera della vostra capitale. Persino  la signora sindaco ha rconosciuto che siamo degli eroi.

Siamo eroi senza documenti. Per quelli come noi, irregolari, illegali, clandestini e con ascendenze criminali, l’unica porta è quella d’uscita. La de-porta-zione al paese di sbarco. Ci avete battezzati di recente ‘dublinesi’, dal nome della capitale dell’Irlanda dove ci avete affidato un’identità. Il luogo di sbarco è anche quello di ritorno, per il resto ci si affiderà agli accordi di riammissione in cambio di soldi e vergogna. Col padre e la madre del bimbo entrambi assenti abbiamo assicurato la vostra perpetuità. Dieci mesi assicurati coi pompieri, un permesso di soggiorno e un giorno la vostra nazionalità. Come non credere alle favole.

      Mauro Armanino, Niamey, giugno 2018