sabato 28 settembre 2019
martedì 24 settembre 2019
martedì 17 settembre 2019
Pro memoria
Se arriverò a cent’anni…
Non voglio nessun teatrino pubblico con torta, palloncini,
foto e politico di turno. Mi piace dirlo adesso, ancora lontano da qualsiasi
forma di demenza senile, per sollevare i famigliari da inutili strette di mano,
sorrisi di rito e battutine stereotipate. Lugano è la mia città dal 1962,
quando vi giunsi da un paese della valle dell’Arno poco noto alle carte
geografiche del tempo, ma,proprio per questo, luogo vero, pulsante di rivalità
e antagonismi non ancora addormentati dal miracolo economico. A Lugano sono
cresciuto, ho lavorato e messo su famiglia, tenendo fermi i concetti di protesta
sociale ereditati da pezzi di casato rimasti sul luogo di nascita. Non è stato
ovviamente un percorso facile, lontano da quello dei sessantottini di buona
famiglia che, passati i pruriti rivendicativi, hanno fatto valere i cognomi e
le amicizie pesanti per evitare problemi. Termini come pace e concordanza
stagnano nella “zona retrocessione” del mio vocabolario, dove svetta, in
solitaria,la parola “conflitto”, quello che ha mosso la storia dell’uomo anche
se non è ancora riuscito a raddrizzare il legno storto di cui è fatto. A Lugano
voglio bene, meno a larghe fette dei
suoi abitanti “embedded” nell’edonismo competitivo, per nulla a chi la
rappresenta con relative truppe al seguito. Non è una questione di colori, oggi
il rosso( pallido) vale come l’azzurro, il verde o il grigio, ma di etica,
lealtà, trasparenza da esercitare (sul serio!)in tutti gli ambiti del quotidiano.
Un esempio per tutti: Non caricare sulle spalle dei figli le divergenze che si
sono avute con i padri limitandone le potenzialità. Nel conflitto si punta chi
sta al fronte, non i parenti che restano a casa. Ho cercato spesso di farmi
beffe del potere costituito e per questo trattato come innominabile. Grande
onore! Mi ricorda il “Nessuno”,uomo di multiforme ingegno che infiniti danni
addusse ai Troiani , che sfidò l’ira degli dei pur di ritornare a casa. Sapere
che voi fate quello che fate(e continuerete a farlo) mi aiuta parecchio ad
esercitare quel dovere verso l’avversario, a non dargli pace finché avrò fiato.
Quindi, se verrà quel giorno, alla larga ! Senza rancore.
mercoledì 4 settembre 2019
Cambio della guardia alle FFS svizzere
I manager dei padroni si danno il cambio (con benservito milionario), ma i danni restano. Olé !
Meyer se ne va, i
problemi restano
Meyer
ci lascia: il CEO delle FFS lascerà il prossimo anno la guida dell’azienda per
sedere, ha detto lui stesso, in nuovi consigli di amministrazione ed altro
ancora.
La
comunicazione di questa decisione al consiglio di amministrazione, ci viene
ancora detto, risale a qualche mese fa, anche se solo oggi è stata resa
pubblica.
E,
certo, momento più adeguato non poteva essere trovato. Poiché le FFS sotto la guida
di Meyer hanno subito uno dei maggiori declini che un’azienda pubblica (in
particolare in questo paese) abbia mai manifestato in uno spazio di tempo tutto
sommato limitato (13 anni).
A
rendere visibile questo declino la convocazione, qualche settimana fa, dello
stesso Meyer da parte di ben due commissioni parlamentari che, verosimilmente,
facendosi interpreti della montagna di lamentele che giungono sui servizi delle
FFS, gli hanno chiesto conto di ritardi, incidenti, soppressione di treni,
disguidi e disservizi ormai quotidiani che hanno intaccato profondamente uno
dei miti attorno ai quali si è costruita l’identità elvetica del dopoguerra.
Certo
non è stato Meyer ad avviare quel processo di privatizzazione, cominciato con
la trasformazione in SA e con lo sviluppo di una politica dei servizi offerti e
del personale orientati verso una logica di mercato. Una logica nella quale il benchmark, cioè il confronto con il tasso
di redditività di capitali investiti nello stesso settore, ha costantemente
avuto la meglio sulla logica del servizio pubblico.
Ma, sicuramente, è stato proprio Meyer l’interprete
più coerente e spietato di questo adattamento alla pure logica del mercato.
E come sempre quando ad affermarsi nel capitalismo
moderno sono le logiche di mercato a lasciarci le penne sono i settori, i
soggetti, le regioni più deboli. Così, il Ticino ha sofferto e soffre più di
altre regioni in termini di posti di lavoro persi (basti pensare all’Officina),
di disservizi (non si contano più i ritardi, le soppressioni di treni, la
cronica insufficienza di materiale rotabile messo a disposizione degli utenti,
in particolare nelle ore di punta). E quando Meyer si è presentato in Ticino,
spesso facendo la voce grossa, la classe politica cantonale non ha saputo fare
altro che abbassare la testa e dire “ja”.
La recente decisione di aprire FFS Cargo a una
importante partecipazione azionaria di potenti azionisti privati mostra quale
sarà la via che il trasporto pubblico (di persone e di merci) intende seguire
in Svizzera. Meyer protagonista, ma con la benedizione di tutta la classe politica
(a cominciare dai partiti presenti in Consiglio Federale).
Non ci mancherà, anche perché ha posto le basi
affinché il suo successore sia in grado di fare anche peggio di lui.
Fonte: MPS- Ticino
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