martedì 24 settembre 2019

martedì 17 settembre 2019

Pro memoria


Se arriverò a cent’anni…


Non voglio nessun teatrino pubblico con torta, palloncini, foto e politico di turno. Mi piace dirlo adesso, ancora lontano da qualsiasi forma di demenza senile, per sollevare i famigliari da inutili strette di mano, sorrisi di rito e battutine stereotipate. Lugano è la mia città dal 1962, quando vi giunsi da un paese della valle dell’Arno poco noto alle carte geografiche del tempo, ma,proprio per questo, luogo vero, pulsante di rivalità e antagonismi non ancora addormentati dal miracolo economico. A Lugano sono cresciuto, ho lavorato e messo su famiglia, tenendo fermi i concetti di protesta sociale ereditati da pezzi di casato rimasti sul luogo di nascita. Non è stato ovviamente un percorso facile, lontano da quello dei sessantottini di buona famiglia che, passati i pruriti rivendicativi, hanno fatto valere i cognomi e le amicizie pesanti per evitare problemi. Termini come pace e concordanza stagnano nella “zona retrocessione” del mio vocabolario, dove svetta, in solitaria,la parola “conflitto”, quello che ha mosso la storia dell’uomo anche se non è ancora riuscito a raddrizzare il legno storto di cui è fatto. A Lugano voglio bene, meno a larghe fette  dei suoi abitanti “embedded” nell’edonismo competitivo, per nulla a chi la rappresenta con relative truppe al seguito. Non è una questione di colori, oggi il rosso( pallido) vale come l’azzurro, il verde o il grigio, ma di etica, lealtà, trasparenza da esercitare (sul serio!)in tutti gli ambiti del quotidiano. Un esempio per tutti: Non caricare sulle spalle dei figli le divergenze che si sono avute con i padri limitandone le potenzialità. Nel conflitto si punta chi sta al fronte, non i parenti che restano a casa. Ho cercato spesso di farmi beffe del potere costituito e per questo trattato come innominabile. Grande onore! Mi ricorda il “Nessuno”,uomo di multiforme ingegno che infiniti danni addusse ai Troiani , che sfidò l’ira degli dei pur di ritornare a casa. Sapere che voi fate quello che fate(e continuerete a farlo) mi aiuta parecchio ad esercitare quel dovere verso l’avversario, a non dargli pace finché avrò fiato.
Quindi, se verrà quel giorno, alla larga ! Senza rancore.


mercoledì 4 settembre 2019

Cambio della guardia alle FFS svizzere


I manager dei padroni si danno il cambio (con benservito milionario), ma i danni restano. Olé !


Meyer se ne va, i problemi restano

Meyer ci lascia: il CEO delle FFS lascerà il prossimo anno la guida dell’azienda per sedere, ha detto lui stesso, in nuovi consigli di amministrazione ed altro ancora.
La comunicazione di questa decisione al consiglio di amministrazione, ci viene ancora detto, risale a qualche mese fa, anche se solo oggi è stata resa pubblica.
E, certo, momento più adeguato non poteva essere trovato. Poiché le FFS sotto la guida di Meyer hanno subito uno dei maggiori declini che un’azienda pubblica (in particolare in questo paese) abbia mai manifestato in uno spazio di tempo tutto sommato limitato (13 anni).
A rendere visibile questo declino la convocazione, qualche settimana fa, dello stesso Meyer da parte di ben due commissioni parlamentari che, verosimilmente, facendosi interpreti della montagna di lamentele che giungono sui servizi delle FFS, gli hanno chiesto conto di ritardi, incidenti, soppressione di treni, disguidi e disservizi ormai quotidiani che hanno intaccato profondamente uno dei miti attorno ai quali si è costruita l’identità elvetica del dopoguerra.
Certo non è stato Meyer ad avviare quel processo di privatizzazione, cominciato con la trasformazione in SA e con lo sviluppo di una politica dei servizi offerti e del personale orientati verso una logica di mercato. Una logica nella quale il benchmark, cioè il confronto con il tasso di redditività di capitali investiti nello stesso settore, ha costantemente avuto la meglio sulla logica del servizio pubblico.
Ma, sicuramente, è stato proprio Meyer l’interprete più coerente e spietato di questo adattamento alla pure logica del mercato.
E come sempre quando ad affermarsi nel capitalismo moderno sono le logiche di mercato a lasciarci le penne sono i settori, i soggetti, le regioni più deboli. Così, il Ticino ha sofferto e soffre più di altre regioni in termini di posti di lavoro persi (basti pensare all’Officina), di disservizi (non si contano più i ritardi, le soppressioni di treni, la cronica insufficienza di materiale rotabile messo a disposizione degli utenti, in particolare nelle ore di punta). E quando Meyer si è presentato in Ticino, spesso facendo la voce grossa, la classe politica cantonale non ha saputo fare altro che abbassare la testa e dire “ja”.
La recente decisione di aprire FFS Cargo a una importante partecipazione azionaria di potenti azionisti privati mostra quale sarà la via che il trasporto pubblico (di persone e di merci) intende seguire in Svizzera. Meyer protagonista, ma con la benedizione di tutta la classe politica (a cominciare dai partiti presenti in Consiglio Federale).
Non ci mancherà, anche perché ha posto le basi affinché il suo successore sia in grado di fare anche peggio di lui.

Fonte: MPS- Ticino