giovedì 19 ottobre 2017

100 anni dall'Ottobre sovietico


Ottobre è un film del 1927 diretto da Sergej Mikhajlovič Ejzenštejn.

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venerdì 13 ottobre 2017

La guerra messa a tacere dei Caraibi

Gli stati insulari dei Caraibi sono in prima linea in una guerra che non hanno provocato e nella quale sono i primi danneggiati: il cambio climatico. 
Anche4 se gli effetti si accumulano con il contagocce, catastrofi come il recente passaggio di due uragani sono un duro ricordo del poco che si sta facendo per vincere la battaglia. 
I principali mezzi di comunicazione descrivono con dettagli la devastazione provocata dai cicloni Irma e Maria nei Caraibi, dove più di un centinaio di persone sono morte, centinaia di migliaia hanno perso la casa e le infrastrutture di base di vari paesi sono state distrutte. 
Di fatto però, poco si parla del fatto che i cicloni tropicali sono sempre più distruttivi e molto meno del sottosviluppo che incontrano al loro passaggio in una regione vulnerabile ai disastri naturali. 
Le piccole nazioni insulari contano appena con industrie inquinanti, emettono una frazione dei gas con affetto serra e la loro traccia ecologica è tra le più basse del mondo. Indubbiamente la crescita del livello del mare minaccia la maggioranza dei loro abitanti che vivono vicino a spiagge paradisiache dove vanno in vacanza milioni di turisti. 
Nello stesso tempo l’aumento di quasi due gradi della temperatura dell’acqua tra il Tropico del Cancro e quello del Capricorno, provocato dall’attività umana, come coincidono gli scienziati è combustibile per le tormente che devastano  tra giugno e novembre.  
«Noi come paese, come regione, non abbiamo cominciato questa guerra contro la natura, non l’abbiamo provocata. La guerra è venuta da noi », ha assicurato di recente nelle  Nazioni Unite Roosevelt Skerrit, primo ministro di Dominica.
In un commosso discorso nell’Assemblea Generale, pochi giorni dopo che Maria aveva distrutto il suo paese  con venti a 250 Km l’ora, Skerrit ha chiamato le grandi potenze ad occuparsi di questi fatti.  
«Mentre i grandi paesi parlano le piccole isole soffrono» ha detto.  «Necessitiamo azioni e le necessitiamo adesso». 
Però  le notizie che giungono dal nord danno poche speranze. 
Il presidente del paese che ha maggiormente inquinato nella storia, gli Stati Uniti ha deciso d’abbandonare l’accordo di Parigi, il principale strumento internazionale per cercare di contenere l’aumento della temperatura globald nei prossimi decenni.
In quella stessa Assemblea Generale, il mandatario nordamericano si vantato dei  700.000 milioni di dollari che il suo paese destina alla guerra ogni anno.  
Con una frazione di questo denaro si potrebbero ricostruire i ponti e le strade distrutti da Irma e Maria, erigere scuole e ospedali capaci di resistere alla forza dei venti categoria 5, disegnare case resistenti alle minacce e creare un fondo per la nazioni colpite. 
I paesi industrializzati non solo sono responsabili e devono assumere i costi del cambio climatico che hanno provocato, ma hanno anche un debito storico per la schiavitù, il neocolonialismo e l’imperialismo che hanno lasciato sequele non meno visibili a scala globale. 
Le isole cominciano a togliersi di dosso i danni provocati dalle tormente. Combinano lo spirito degli indios dei Caraibi, che respinsero i conquistatori europei  per vari secoli, con il coraggio dei negri africani,  la cui cultura e identità hanno resistito a secoli d’oppressione. 
Non è la prima volta che lo fanno e se l’umanità non assume la propria responsabilità con il pianeta, non sarà nemmeno l’ultima ( Traduzione GM - Granma Int.)

A 100 anni dall'Ottobre sovietico


mercoledì 4 ottobre 2017

USA: Evviva, non è terrorismo!

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58 morti e 500 feriti dopo, il problema urgente del governo Usa era dichiarare al mondo che la strage “non è terrorismo”. Per anni ci è stato spiegato che il terrorismo, soprattutto quello degli ultimi due decenni, non aveva niente a che fare con la “politica” e poco con la religione. In realtà, ci spiegano i professori, la religione costituisce il pretesto attraverso cui individui instabili sfogano la propria insoddisfazione esistenziale. O qualcosa del genere. Eppure, quando si presenta davvero l’individuo “instabile”, eccolo ridotto a macchietta. Al cuore della questione, come abbiamo provato a scrivere più volte, c’è il fatto che il terrorismo fa paura proprio perché esprime una incontrovertibile natura politica, venga questa esplicitata o meno. L’uccisione di 58 persone (cioè più persone di tutti gli attentati in Europa nel 2017), e il ferimento di altre 500, rimangono confinate alla cronaca. La notizia durerà qualche ora, mentre domani ce ne saremmo già scordati. Perché? Perché Stephen Paddock, l’attentatore di Las Vegas, non è un militante politico e non combatte alcuna battaglia politica. L’Isis, al contrario, si, ed è questo che manda in corto circuito la gestione liberista della società. La sostanza politica dell’Isis è essenzialmente reazionaria, anche quando vorrebbe farsi portavoce degli interessi storici delle popolazioni arabe (come la lotta al colonialismo anglo-francese), ma questo incide poco sull’interpretazione di un soggetto in tutto e per tutto politico che utilizza metodi militari per portare avanti la propria posizione. L’Isis reintroduce nel mondo occidentale il conflitto e la violenza come opzione politica: questo è l’indicibile, per l’appunto mascherato nelle analisi mainstream che ascoltiamo e leggiamo sui principali organi di informazione. Tutti solerti nel negargli natura politica, eppure di fronte all’attentato terroristico (perché di questo si tratta a Las Vegas) veramente impolitico, tutti tirano il classico sospiro di sollievo: “non è terrorismo”, possiamo andare avanti. E’ questo, in buona sostanza, il motivo per cui cinque feriti in Canada fanno notizia più dei 58 morti a Las Vegas. O perché le 71 (settantuno) vittime per terrorismo negli Usa tra il 2005 e il 2015 fanno molto più scalporedelle 301.797 vittime per l’utilizzo di armi da fuoco nello stesso periodo.http://www.militant-blog.org