domenica 25 agosto 2013

Tanto per non parlare a vanvera... 


"Quella storia è finita da tempo e in questo senso è giusto parlare di un fallimento. Ma per un giudizio storico si deve cercar di capire quello che è successo, le cause e il contesto. Vero, i brigatisti militanti, e ciò vale per ogni esperienza guerrigliera, erano un numero esiguo, ma dentro un contesto di relazioni sociali e politiche più ampio, per questo l’area in cui si potevano muovere e che si legava alle lotte operaie e proletarie e anche al vissuto e al dibattito sulla Resistenza, era assai più estesa e articolata della loro consistenza".

Giovanni Senzani, Agosto 2013

giovedì 22 agosto 2013

L'Italia che resiste

Tanto per capire da che parte sono sempre stato e da che parte va il popolo italiano, quello che ha costruito il paese. Il contributo non è recentissimo ma dalla sua redazione la situazione generale non è che sia migliorata, quindi…buona lettura.

 

Ce li mangeremo vivi.


"Ce li mangeremo vivi. Venga questa crisi, bussi, le sarà aperto, non aspettiamo altro. Se necessario butteremo giù il portone. E' già successo nel '43 e succederà ancora e in meglio. Non abbiamo più nulla da perdere, ma ci siamo abituati. Noi. Loro con la puzza sotto il naso non sanno cos'è la vera crisi. Loro devono averne paura. Noi che non abbiamo studiato alla Bocconi, non siamo entrati nello studio di papà o di mammà, non abbiamo leccato il culo per fare carriera in un partito o in ufficio statale. Nessuno ci ha raccomandati e raccomandazioni non ne abbiamo mai volute. Siamo ancora qui e incazzati il giusto per farvi il culo. Altro che chiedervi la carità o discutere con quel rottame della Fornero dei diritti dei lavoratori. Noi ce li mangeremo vivi. Ci scaldavamo con le palle di carta bagnate, pressate e messe nella stufa. Mangiavamo croste di formaggio scaldate sul ferro. Non ne ho mai più mangiate di così buone. Il bagno lo facevamo nella tinozza con l'acqua che veniva scaldata sopra la cucina economica. Il cinema era sempre in terza visione e solo una volta al mese. I nostri padri facevano i turni in fabbrica, quando noi dormivamo, loro lavoravano. Una carezza e un "Fai il bravo con la mamma" era l'unico fugace contatto al mattino. La domenica andavamo fuori città in bicicletta con qualche panino, una gazzosa e una bottiglia di vino rosso. D'estate ci scappava anche un'anguria. Che cazzo ci possono fare questi fighetti vestiti Armani, questi corrotti dentro, questi deputatini, questi mafiosetti, marci, marci, buoni solo a parlare, a cianciare, che hanno rovinato il Paese e ora ridono di noi. Noi non abbiamo nulla da perdere perché siamo stati abituati a vivere con poco e anche con nulla. Voi perderete tutto tranne la dignità, quella non l'avete mai avuta. Leggevamo il giornale solo la domenica quando lo comprava nostro padre. Non poteva permetterselo gli altri giorni. Era il Corriere della Sera di Pasolini, Montanelli, Buzzati. Uno solo di loro vale più di tutti i giornalai di adesso. Ci siamo rotti i coglioni e saremo poco educati con chi ci prende per il culo. Ce li mangeremo vivi, ben venga la crisi per fare pulizia."


Un ex operaio, 20 marzo 2012

sabato 10 agosto 2013

La tortura in Italia

Banana Republic 


Niente a che vedere con l’album dal vivo di Lucio Dalla e Francesco De Gregori uscito nel 1979, se non per il rimando all’emergenza nazionale di quel periodo, i cosiddetti anni di piombo.
Dopo il Corriere della Sera, il Corriere del Mezzogiorno, Rai tre (Chi l’ha visto), il Tribunale di Perugia, Adriano Sofri, Nicola Rao, tanto per citare i più “visibili, arriva Giuliano Amato, politico di lungo corso, uomo di stato e di cultura, professore di diritto costituzionale.
Giuliano Amato è stato consigliere economico e politico di Bettino Craxi fino al 1989, poi ministro con Massimo D’Alema nel 1998, capo del governo nel 2000 e ministro dell’interno nel 2006 con Prodi. Insomma una personalità di rilievo internazionale. Per questo motivo le parole di Amato sulle torture sono qualcosa di più della semplice testimonianza di quello che una figura di potere di così alto spessore ha potuto sapere, sentire, leggere o conoscere nei posti chiave che ha occupato. Se un uomo così parla, dopo alcuni decenni dai fatti, è perché vuole sancire qualcosa. E al di là del consueto linguaggio felpato, delle cautele espressive, ildottor Sottiledice delle cose molto chiare.
Vediamole:
“Accanto alle inchieste coraggiose e ai sacrifici vi fu infatti il ricorso a forme di pressione fisica e psicologica su alcune migliaia di arrestati e detenuti, che nel caso dei primi sembra siano talvolta arrivate, malgrado le smentite, a toccare la tortura. A parlarne sono stati gli stessi funzionari che ne furono i protagonisti. Essi hanno per esempio accennato all’uso del water boarding (allora chiamato «algerina» perché usato dai francesi in Algeria) da parte di un gruppo speciale che – probabilmente ispirandosi a uno «spaghetti western» di successo – si era ribattezzato «I cinque dell’Ave Maria». Le applicazioni controllate furono in tutto poche decine, e di esse si discusse alla Camera per tre volte dal marzo al luglio 1982, quando Rognoni negò ripetutamente la cosa, ma ve ne furono anche di selvagge, come ammise Scalfaro all’epoca ministro dell’Interno”.
Riassumendo:
a) si è ricorso a strumenti d’eccezione ed extralegali;
b) si è fatto uso della tortura, nonostante le smentite;
c) seppure in numero limitato alcuni magistrati erano al corrente dell’impiego della tortura. In un Paese dove vige l’azione penale obbligatoria sapere e non intervenire significa una cosa sola: coprire. Quindi un pezzo di magistratura, non importa la quantità ma la qualità, in altre parole le procure che gestivano le inchieste più importanti sulla lotta armata, hanno coperto e difeso l’impiego strategico della tortura (vero signor Caselli?).
Soprattutto trovano una sonora smentita le frasi del presidente della Repubblica Sandro Pertini, che fu compagno di partito di Amato, il quale aveva detto che in Italia il terrorismo era stato sconfitto nelle aule di giustizia e non negli stadi; e ancora di più le incaute dichiarazioni del generale Dalla Chiesa che rispondendo a un giornale argentino affermò: “L’Italia è un Paese democratico che poteva permettersi il lusso di perdere Moro non di introdurre la tortura”.

Adesso, dopo Moro, hanno perso anche la faccia; e non è poco!

lunedì 5 agosto 2013

Quanto sono bravi i “cattivi”?


Sicuramente più dei buoni quando diventano cattivi che, da arrabbiati, la cattiveria se la inventano, anche se non la conoscono. So di parecchie brave persone, timorate di Dio, annegate in meschinità paralizzanti come la posta ricevuta per sbaglio, aperta, letta e gettata anche se il vero destinatario è a portata di buca lettere; conosco la prassi ricorrente di appoggiarsi a conoscenze “di peso” per sapere come fa la famiglia del tale ad andare in vacanza tutti gli anni con uno stipendio solo e tre figli a carico. Ho visto pareti divisorie di terrazze, balconi e cantine blindate più di Fort Knox, per impedire ai vicini di sbirciare chissà quali tesori. Vette di stupidità più che di cattiveria, d’accordo, ma la direzione di marcia è quella giusta.
Sempre stato così diranno in molti, vero anche questo, solo che in altri tempi la compensazione con le persone a modo era cosa da niente. Oggi l’esercito dei “bravi in piazza e ostili in stanza” ha una crescita esponenziale, un po’ come l’andazzo dei bonus per top manager rispetto al carovita del cittadino semplice.
Sul tema eccovi un fatto dei primi anni cinquanta, capitato nella valle dell’Arno quando il fiume non era quel rigagnolo striminzito e stagnante che oggi si può intravedere dai tratti di autostrada che gli corrono a fianco.
In estate la seconda serata era dedicata alla passeggiata. Bicicletta, guinzaglio e via con la Dora e il nonno verso il fresco del fiume, fra il reticolo di viottoli sterrati che univa le case coloniche ai campi del lavoro agricolo; vere e proprie fortezze verdi quando in agosto il granoturco superava i due metri di altezza. C’era da perdersi se non si conosceva la zona, specie di notte, nonostante la luna, le lucciole e il fanalino della bici.
Fu in una di queste che s’intrufolò all’improvviso la Dora, come attratta da non so cosa. Ci fermammo per aspettarla; niente, nonostante i fischi di richiamo del nonno. Appoggiammo le biciclette alle piante di mais e seguimmo la direzione che aveva preso. Pochi passi ed eccola là, intenta ad annusare un giovanotto un po’ scapigliato che cercava di accarezzarla.
-“Gran bella bestia, di razza vero?”
-“Quasi”, rispose il nonno.
-“Sapevo di non sbagliare, con tutti i lupi che ho visto nei recinti di mio zio”.
-“Suo zio ha un allevamento di pastori tedeschi ?” Chiesi anticipando il nonno.
-“No, curava quelli dei nostri corpi di polizia e poi dei tedeschi durante gli ultimi anni di guerra”.
-“Bel lavoro e sicuramente ben pagato” aggiunse il nonno.
-“Non saprei, aveva ricevuto l’incarico da mio padre che era il Podestà di Arezzo, non poteva certo rifiutare e …”.
- “… e uno di famiglia così importante cosa ci fa la notte in mezzo a un campo di granturco?” chiese prendendogli il tempo, con una punta di sarcasmo, il nonno.
-“Brutta storia. Ero venuto in paese per una festa danzante, sa come succede: il ballo, le donne, le bevute, una parolina di troppo che va di traverso a qualche fidanzato in incognito e la rissa. Sono uno che prima di prenderle le dà e così è stato anche stasera. L’altro è andato a terra subito e c’è rimasto, il gestore del locale ha chiamato la polizia e, con la famiglia che mi ritrovo, sono scappato. Non mi consegno ai carabinieri senza un mio amico avvocato che però non posso certo tirare giù dal letto a quest’ora; lo farò domattina se riesco a passare la notte”.
-“ Hai fatto una bischerata, ragazzo, rischiare la galera per una che non conosci nemmeno. Non so che piega potrà prendere la faccenda ma da noi non avrai noie. Resta qui fino a quando non comincia a fare chiaro, non un minuto di più perché nei campi poi arrivano i contadini, risali l’argine del fiume fino a che incontri un capanno adibito a chiosco per bibite e panini. Poco più in là c’è una stradina che porta in paese dalla parte opposta a quella da dove sei venuto stanotte. Se sei accorto, non avrai problemi a raggiungere la casa del tuo avvocato. Ora smetti di accarezzare il cane e … buona fortuna.”.
Stavamo per scomparire nel buio quando il giovane ci chiese chi doveva ringraziare. Il nonno rispose con tre nomi e un cognome, il suo, assieme alla professione: “Operaio comunista”.
Due settimane dopo arrivò a casa una busta con tanto di stemma famigliare in rilievo su carta di lusso, come il foglio che conteneva, dove stava scritto: “Ancora grazie per il consiglio. Mi saluti tanto il nipote e la Dora. Con riconoscenza e stima”. Poi la firma, in penna stilografica.
Provate a replicare il fatto oggi e, con tutti i progressi compiuti dalla società civile in questi decenni, vediamo se riuscite a leggere uno straccio di lettera, cartolina o mail.
“Se mi sbaglio mi corrigerete” (spero), tanto per fare il verso a qualcuno che veniva da lontano.

giovedì 1 agosto 2013

In un mondo normale...


Chi paga le tasse e chi no

Mille miliardi di dollari, crediateci o meno, è l'ammontare di tasse che le grandi 
multinazionali e i magnati della Terra evadono ogni anno. È una cifra che supera il bilancio di 176 nazioni,le spese 
militari di tutti i paesi messi assieme. Si tratta di 1000 dollari per ogni famiglia del pianeta. 
Tra pochi giorni i 
governi decideranno se colpire la gigantesca evasione fiscale delle multinazionali e raccogliere denaro sufficiente per 
dare una spallata alla povertà, consentire a ogni bambino di andare a scuola e raddoppiare gli investimenti ecologici! 
Molti governi vogliono che anche le super aziende paghino le tasse; ma gli USA e il Canada non hanno ancora preso posizione.
In un mondo normale non dovrebbe nemmeno servire discuterne dato che,per dare una spinta alle finanze 
pubbliche dei nostri paesi in tempi di crisi, tutto quello di cui abbiamo bisogno è che ciascuno paghi le tasse in modo 
equo. Ma le grandi multinazionali stanno facendo pressione per proteggere i loro collaudati sistemi di evasione. 

Apple, una delle aziende più ricche, in pratica ha pagato 0 dollari di tasse sui 78 miliardi guadagnati in questi anni 
mettendo in piedi una serie di scatole cinesi in paesi a una bassa tassazione e mandando i profitti all’estero. Questo genere di evasione fiscale permette alle multinazionali di avere un enorme vantaggio su quelle nazionali di minore dimensione. Si tratta di una pratica che ha un impatto negativo sul mercato, la democrazia e la stabilità economica. 

Come detto,i governi valuteranno un piano che renderebbe più difficile per le multinazionali e i Paperoni di evadere le tasse nascondendo i profitti all'estero e nei paradisi fiscali. Il piano obbligherebbe tutti i paesi a condividere le informazioni necessarie a capire dove si nascondono i capitali e di rivelare chi si cela dietro aziende “prestanome”. 
Se le trattative andranno in porto, il G8 potrebbe trovare un accordo sul  tema già questo mese.

In tempi così difficili è inaccettabile che i più ricchi abbiano un modo per evitare di pagare la loro parte. Ancora di più considerando che i tempi duri sono stati causati da enormi finanziamenti che gli Stati hanno dato alle banche sull'orlo del fallimento di proprietà di queste stesse persone. Adesso sembra che i governi stiano per affrontare seriamente il problema, con gli Stati Uniti e il Canda a pendere dalla parte delle potenti multinazionali.

Mille miliardi all'anno di fondi pubblici farebbero davvero la differenza nella vita di milioni di esseri umani e di tanti ecosistemi a rischio, senza compromettere la sopravvivenza di nessuna multinazionale.

In un mondo normale, appunto!

Yoani Sanchez

Yoani Sanchez, Cuba e le cose che contano davvero


C’è una giornalista cubana che viene da internet, assimilato fra il 2002 e il 2004 nella svizzera tedesca e in Germania durante i suoi studi all’estero, il cui iter professionale è curiosamente simile a quello di tanti blogger divenuti giornalisti per hobby, ai quali auguro di non ricevere le accoglienze riservate alla signora durante i loro prossimi dibattiti o conferenze pubbliche.
Il 28 aprile del 2013, ospite al Festival del giornalismo di Perugia, la cubana Yaoni Sanchez subisce delle contestazioni per il suo comportamento di “blogger-giornalista” svolto in patria. Una trentina di manifestanti filo-castristi occupa il palco per un quarto d’ora con bandiere, volantini lanciati in aria e intonando “Bella Ciao” fra le proteste della squadra di sostenitori che la “dissidente” si porta dietro in ogni paese visitato. Tant’è che da quando in febbraio è partita dall’Avana per il suo “giro del mondo in 80 giorni”, sempre ospite di ricchi editori anticastristi, le rimostranze si sono ripetute con puntuale continuità ovunque sia andata.
La cosa evidentemente non è stata ignorata dai media internazionali (con i “nostrani del Ticino” in bella evidenza) che, invece, fanno finta di nulla su cose ben più importanti che riguardano l’isola caraibica.
Quali per esempio? Evitando la tiritera sulle tante conquiste della Rivoluzione in campi come l’educazione, la ricerca medica e l’assistenza senza profitti ai popoli del terzo e quarto mondo, faccio presente un caso recente passato sotto assoluto silenzio dalla stampa del mondo “libero” per il semplice motivo che non permette loro di sbizzarrirsi nel giochetto preferito: Sparare a zero su Cuba.
Una lettera scritta dal Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, in veste ufficiale, dove si complimenta con il Comandante e con il suo popolo per aver raggiunto anticipatamente gli obiettivi del precedente vertice, non dovrebbe riscuotere almeno la giusta pubblicazione dai nostri illustri giornalisti?
In essa l’alto dirigente dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura si felicita per la meta raggiunta (dimezzare il numero di persone denutrite nel mondo prima del 2015) e ricorda un passo del discorso di Fidel pronunciato durante il vertice di Roma nel novembre del 1996: “Le campane che suonano oggi per chi muore di fame, suoneranno domani per l’umanità intera, se non vorrà, non saprà o non potrà essere sufficientemente saggia per salvare se stessa … e anche se fosse raggiunta la meta prefissata, non saprei che dire all’altra metà ancora soggiogata da un simile flagello”.

Da allora sono passati 17 anni e ancora 870 milioni di persone soffrono la fame nonostante l’abbondanza di alimenti prodotti perché non hanno entrate sufficienti per comprarle. Mi pare che la distanza fra quest’attestato e il cablogramma della Sanchez ai diplomatici americani, dove lamenta l'impossibilità di fare acquisti su internet tramite PayPal e annuncia che “simili angoscianti restrizioni alle libertà personali non possono che favorire un cambiamento, cioè la caduta del dittatore Castro”, sia stratosferica per tutti coloro che non si sono ancora bevuti il cervello.