Quanto sono bravi i “cattivi”?
Sicuramente più dei buoni quando diventano
cattivi che, da arrabbiati, la cattiveria se la inventano, anche se non la
conoscono. So di parecchie brave persone, timorate di Dio, annegate in
meschinità paralizzanti come la posta ricevuta per sbaglio, aperta, letta e
gettata anche se il vero destinatario è a portata di buca lettere; conosco la
prassi ricorrente di appoggiarsi a conoscenze “di peso” per sapere come fa la
famiglia del tale ad andare in vacanza tutti gli anni con uno stipendio solo e
tre figli a carico. Ho visto pareti divisorie di terrazze, balconi e cantine
blindate più di Fort Knox, per impedire ai vicini di sbirciare chissà quali
tesori. Vette di stupidità più che di cattiveria, d’accordo, ma la direzione di
marcia è quella giusta.
Sempre stato così diranno in molti, vero anche
questo, solo che in altri tempi la compensazione con le persone a modo era cosa
da niente. Oggi l’esercito dei “bravi in piazza e ostili in stanza” ha una
crescita esponenziale, un po’ come l’andazzo dei bonus per top manager rispetto
al carovita del cittadino semplice.
Sul tema eccovi un fatto dei primi anni
cinquanta, capitato nella valle dell’Arno quando il fiume non era quel
rigagnolo striminzito e stagnante che oggi si può intravedere dai tratti di
autostrada che gli corrono a fianco.
In
estate la seconda serata era dedicata alla passeggiata. Bicicletta, guinzaglio
e via con la Dora e il nonno verso il fresco del fiume, fra il reticolo di
viottoli sterrati che univa le case coloniche ai campi del lavoro agricolo;
vere e proprie fortezze verdi quando in agosto il granoturco superava i due
metri di altezza. C’era da perdersi se non si conosceva la zona, specie di
notte, nonostante la luna, le lucciole e il fanalino della bici.
Fu in
una di queste che s’intrufolò all’improvviso la Dora, come attratta da non so
cosa. Ci fermammo per aspettarla; niente, nonostante i fischi di richiamo del
nonno. Appoggiammo le biciclette alle piante di mais e seguimmo la direzione
che aveva preso. Pochi passi ed eccola là, intenta ad annusare un giovanotto un
po’ scapigliato che cercava di accarezzarla.
-“Gran
bella bestia, di razza vero?”
-“Quasi”,
rispose il nonno.
-“Sapevo
di non sbagliare, con tutti i lupi che ho visto nei recinti di mio zio”.
-“Suo
zio ha un allevamento di pastori tedeschi ?” Chiesi anticipando il nonno.
-“No,
curava quelli dei nostri corpi di polizia e poi dei tedeschi durante gli ultimi
anni di guerra”.
-“Bel
lavoro e sicuramente ben pagato” aggiunse il nonno.
-“Non saprei,
aveva ricevuto l’incarico da mio padre che era il Podestà di Arezzo, non poteva
certo rifiutare e …”.
- “… e
uno di famiglia così importante cosa ci fa la notte in mezzo a un campo di
granturco?” chiese prendendogli il tempo, con una punta di sarcasmo, il nonno.
-“Brutta
storia. Ero venuto in paese per una festa danzante, sa come succede: il ballo,
le donne, le bevute, una parolina di troppo che va di traverso a qualche
fidanzato in incognito e la rissa. Sono uno che prima di prenderle le dà e così
è stato anche stasera. L’altro è andato a terra subito e c’è rimasto, il
gestore del locale ha chiamato la polizia e, con la famiglia che mi ritrovo,
sono scappato. Non mi consegno ai carabinieri senza un mio amico avvocato che
però non posso certo tirare giù dal letto a quest’ora; lo farò domattina se
riesco a passare la notte”.
-“ Hai
fatto una bischerata, ragazzo, rischiare la galera per una che non conosci
nemmeno. Non so che piega potrà prendere la faccenda ma da noi non avrai noie.
Resta qui fino a quando non comincia a fare chiaro, non un minuto di più perché
nei campi poi arrivano i contadini, risali l’argine del fiume fino a che
incontri un capanno adibito a chiosco per bibite e panini. Poco più in là c’è
una stradina che porta in paese dalla parte opposta a quella da dove sei venuto
stanotte. Se sei accorto, non avrai problemi a raggiungere la casa del tuo
avvocato. Ora smetti di accarezzare il cane e … buona fortuna.”.
Stavamo
per scomparire nel buio quando il giovane ci chiese chi doveva ringraziare. Il
nonno rispose con tre nomi e un cognome, il suo, assieme alla professione: “Operaio
comunista”.
Due
settimane dopo arrivò a casa una busta con tanto di stemma famigliare in
rilievo su carta di lusso, come il foglio che conteneva, dove stava scritto: “Ancora
grazie per il consiglio. Mi saluti tanto il nipote e la Dora. Con riconoscenza
e stima”. Poi la firma, in penna stilografica.
Provate a replicare il fatto oggi e, con tutti
i progressi compiuti dalla società civile in questi decenni, vediamo se riuscite
a leggere uno straccio di lettera, cartolina o mail.
“Se mi sbaglio mi corrigerete” (spero), tanto per fare
il verso a qualcuno che veniva da lontano.