mercoledì 27 marzo 2019

Battisti ha detto cosa?

Una domanda: come mai Cesare Battisti si autoaccusa di aver compiuto tutti i delitti iscritti nella sentenza di condanna emessa decenni fa senza che gli fosse consentito di difendersi (contumacia)? Un’autoaccusa non veritiera!
Il pm che l’ha ascoltato ha riportato le sue parole: “ha ammesso che i 4 omicidi, i 3 ferimenti e una marea di rapine e furti per autofinanziamento, corrisponde al vero. Mi rendo conto del male che ho fatto e chiedo scusa ai familiari delle vittime“.
Evidentemente Battisti ha deciso di assecondare l’orchestra forcaiola che oggi conduce il balletto in questo triste paese.
Forse non ha sentito intorno al suo caso quella solidarietà necessaria a sostenerti in una lotta. Anche tra la gente è prevalso il giudizio perentorio o il disinteresse negligente.
Forse ha ritenuto non opportuno contrastare punto per punto le violazione subite a seguito delle inosservanze delle procedure previste nei casi di estradizione. Lo stato italiano le ha violate per l’estradizione dalla Bolivia perché quel paese doveva ricondurlo in Brasile che aveva già avviato con l’Italia una procedura di estradizione con la richiesta allo stato italiano di commutare la pena all’ergastolo (non prevista nell’ordinamento brasiliano) in quella di trentanni di carcere.
Probabilmente ha avuto il sentore che in Italia oggi conviene usare un basso profilo e far contenta la grancassa messa in moto dagli apparati governativi, statali e mediatici per fregiarsi di questo risultato in un periodo di vacche magre. Li abbiamo visti, infatti, nel rettangolo televisivo, gongolare con sorrisi trattenuti a stento, come a dire: noi sappiamo farci valere.
Probabilmente con questo ingiusta autoaccusa ma assoluzione piena per i repressori, spera di ricevere un trattamento carcerario rispondente alle normative, non un accanimento feroce come l’iniziale isolamento in un carcere “duro” come quello di Oristano, non previsto per chi deve scontare una condanna definitiva su fatti compiuti antecedentemente alle norme sull’inasprimento dei regimi di carcerazione (1991), e forse anche per esplorare le possibilità di rinverdire spazi di collaborazione con la magistratura, anche se le leggi sulla “dissociazione”, la prima nel febbraio 1980, l’ultima l’8 Febbraio 1987, sono da tempo dormienti.
Alcuni, forse tantissimi, diranno: ma come fai ad essere sicuro di queste cose?
Semplice!, ho frequentato per alcuni decenni, quasi tre, le carceri di questo paese. Siamo stati in tanti, ragazze e ragazzi delle due o tre generazioni di cui ho fatto parte ad essere ospitati negli alberghi statali. In quelle orride prigioni lo stato oltre rinchiuderci, aveva il capriccio di farci viaggiare per tutti i tuguri predisposti per azzerare e addormentare la parte più vivace di quell’umanità. Lo stato voleva che conoscessimo quei lager e che apprezzassimo la cura con cui erano stati predisposti. Tra i tanti compagni che ho conosciuto lì dentro c’erano pure i militanti dei Pac (proletari armati per il comunismo) il piccolo gruppo di cui ha fatto parte Cesare Battisti. Così, giorno dopo giorno, calpestando il piccolo pavimento di una cella o “facendo le righe” in un passeggio, ci si raccontava l’andamento dei processi che, in omaggio alle leggi speciali che traboccavano in questo paese, erano in pieno svolgimento per infliggere secoli di galera. Quei processi non cercavano tanto di appurare i fatti accaduti, quanto di produrre imputati “pentiti” (delatori) oppure “dissociati”. I mezzi con cui venivano prodotti questi personaggi erano quelli di sempre: la minaccia di galera dura e infinita, a volte condita con poca o tanta tortura.
Tra di noi ci si raccontava e si rideva, che altro potevamo fare, delle frottole che i “pentiti” riferivano, inseriti in una logica che più il “pentito” racconta responsabilità altrui utili per appioppare anni di galera, più i suoi meriti di “pentito” vengono esaltati.
Oggi è in pieno svolgimento il gioco tipico del cerimoniale italico gradito al sistema. Si racconta la versione che può andar bene a tutti quelli che hanno gioito questi giorni, li abbiamo visti e letti: “Battisti ammette i quattro omicidi, chiedo scusa”; “Battisti, giù la maschera”“Battisti è un assassino e dovrà marcire in galera fino alla fine dei suoi giorni”; “I familiari delle vittime: ora è tardi per perdonare, dica quello che nessuno sa”; “In prigione non uscirà vivo”; Confessione è passo in avanti”; e tanti altri commenti poco edificanti, che omettiamo.
Sarà lo scorrere del tempo a mostrarci le prossime puntate.

https://contromaelstrom.com/2019/03/27/cesare-battisti-si-autoaccusa/

venerdì 22 marzo 2019

I lager della Libia

Fonte: www.operaicontro.it


In questi giorni non ne parla più nessuno. I media sono interessati a sbattere in prima pagina la notizia del momento, poi, siccome sono interessati solo a vendere i loro giornali oppure a fare i leccapiedi della borghesia, passano ad altro. Difficile che qualche giornalista faccia inchieste serie, neanche quelli schierati con la cosiddetta sinistra. Sono interessati solo allo scoop, poi si guardano bene dall’approfondire notizie serie sulla condizione dei migranti.

Dobbiamo risalire ad un paio di articoli apparsi sull’Avvenire a gennaio e febbraio per capire le vere ragioni sulla diminuzione degli sbarchi di extracomunitari in Italia.

Secondo il ministro degli interni Salvini, è il frutto delle sue politiche, della chiusura dei porti, del rimpatrio dei cosiddetti “clandestini”.

Le cose invece stanno diversamente. Ormai è risaputo che l’Italia fa accordi non con un governo riconosciuto, ma solo con una delle fazioni.

Gli stati capitalisti, quando non riescono a mettere le mani completamente su un altro stato, usano altri sistemi, tra cui quello di far fuori la classe dirigente del momento, che per un motivo o per l’altro non ha intenzione di assecondare i piani economici degli stati imperialisti. È così, che dopo aver fatto fuori Gheddafi, diventa difficile fare accordi con la borghesia libica. Quest’ultima è divisa in fazioni, le quali rispondono ai poteri forti del paese e non si riesce a farle mettere d’accordo per dividere la torta. Ognuna di loro la vuole intera. A dimostrazione che la borghesia si fa la guerra fino a che una fazione prevale sull’altra.

Ed è così che nei campi in Libia, in cui Salvini dice di aver fatto accordi dove gli hanno assicurato che non esistono torture, dietro anche l’avallo dell’ONU, ne succedono di tutti i colori.

Secondo gli articoli apparsi sull’avvenire, ai carcerieri non viene neanche pagato lo stipendio, e così per portare a casa anche loro una fetta di questo denaro, torturano gli extracomunitari e chiedono il riscatto ai familiari. Si parla di richieste di denaro che vanno dai 500 dollari ai 4/5 mila. Le famiglie, già indebitate per far fronte al viaggio dei loro parenti sono in grave difficoltà a tirare fuori altri soldi.

Ed è così che viene bloccata questa povera gente in Libia che, dopo aver attraversato il deserto, subisce la fame e le torture dei carcerieri.

Paradossalmente, la minaccia di questi carcerieri arriva al punto di vendere gli extracomunitari a gruppi più cattivi, se i familiari non pagano il riscatto. Addirittura ci sarebbero forme di pagamento differenziato pur di consentire alle famiglie di pagare.

In un articolo del 10 febbraio, sempre su Avvenire, leggiamo che è la stessa polizia libica a rapire a Tripoli 72 eritrei, dopo che le famiglie avevano pagato già un riscatto. Questi poveracci erano stati liberati dai loro carcerieri, e non sapevano dove andare. Vagando per la città sono stati arrestati dalla polizia e rinchiusi in celle di sicurezza, e da qui l’ennesima richiesta di soldi alle famiglie ormai dissanguate, oppure la vendita a banditi che hanno in mano i campi di prigionia. Per fortuna che da qualche cellulare nascosto le immagini sono giunte ai parenti che stanno in Europa, e quindi diffuse.

Insomma una situazione che ha dell’incredibile. Ma le barbarie compiute dalle classi dirigenti, nella storia, si sono sempre verificate, ed anche oggi, grazie a qualche notizia che circola sottobanco, si conferma il fatto che le barbarie continuano.

Altro che la chiusura dei porti, il ministro degli interni sta facendo accordi con questi macellai e nasconde la realtà di questi campi di concentramento con la complicità dei mezzi di informazione che tutto sanno e niente dicono.

Lo scempio dei bambini morti sulle spiagge, le donne stuprate in questi lager, le botte e le torture che subiscono i migranti, non hanno scosso la civile Europa. Tutto continua come prima e il signor Salvini può gridare di aver fermato gli sbarchi, …. nei campi di concentramento.

lunedì 18 marzo 2019

Parigi: Atto XVIII

https://secoursrouge.org/France-Gilets-Jaunes-acte-XVIII

http://www.operaicontro.it/?p=9755753252

I RICCHI E I LORO GOVERNI CONTRO I RIVOLTOSI, OGGI CONTRO I GILET GIALLI, NEL 1871 CONTRO GLI OPERAI DELLA COMUNE


La storia ritorna con le dovute differenze, ma ritorna.

Oggi è il diciottesimo sabato della protesta dei gilet gialli Francesi. Una rivolta che vede scendere in campo contro il governo di Macron operai, lavoratori, giovani disoccupati, agricoltori poveri delle campagne, stanchi della miseria a cui li costringe la borghesia e il governo di Macron.

Avevano pensato che qualche promessa e migliaia di poliziotti sarebbero bastati per fermare la rivolta. Si sbagliavano. Ora passano ad ogni tipo di insulto per svuotare di significato sociale la lotta di strada.

“Non si tratta né di manifestanti né di casseur, questi sono solo assassini”: questo il commento del ministro dell’Interno Christophe Castaner all’incendio di un palazzo, partito dalle fiamme appiccate durante i disordini sugli Champs-Elysees all’agenzia di una banca.

“Hanno deciso, come canto del cigno, di venire ad attaccare Parigi ma noi li abbiamo anticipati e rispondiamo colpo su colpo”: così il ministro dell’Interno, Christophe Castaner, ha commentato la guerriglia che da stamane ha investito il centro di Parigi e in particolare la zona degli Champs-Elysees. I manifestanti, ha annunciato Castaner, sono “fra i 7 e gli 8.000, fra cui 1.500 ultraviolenti”. Queste distinzioni servono a dividere il movimento che invece si è dimostrato compatto: la vastità degli scontri, la loro durata, non possono essere attribuite a poche frange di “ultraviolenti” ma sono il manifestarsi di una rabbia che percorre l’insieme dei manifestanti che sono scesi per strada.

Per la prima volta, nel pieno degli scontri, il primo ministro francese Edouard Philippe è sceso in piazza ad incoraggiare e stringere la mano agli agenti impegnati a Parigi. La scena, inedita, è avvenuta davanti al Grand Palais, a pochi metri da dove si alzano colonne di fumo dai locali e dalle edicole di giornali in fiamme, tra fumo di lacrimogeni e scene di caos.

A qualche centinaia di metri dal primo ministro, brucia ancora il tendone rosso e oro del famoso ristorante Fouquet’s, dato alle fiamme dai manifestanti. Bulgari, il negozio di gioielli dell’alta borghesia parigina è messo sottosopra. “Venire a Parigi per scontrarsi con la polizia è inaccettabile”, ha detto Philippe. Ma ha avuto parole dure anche per “chi giustifica e incoraggia queste azioni” e così facendo “se ne rende complice”. Quale altro strumento hanno i manifestanti per riscattarsi dalla miseria, per far cadere il governo che li opprime, forse le processioni?

Il 17 marzo è la vigilia del ricordo della Comune di Parigi che diresse Parigi dal 18 marzo al 28 maggio 1871.

La Comune è il primo governo degli operai e dei poveri di Parigi. Il 18 marzo 1871 Parigi insorse cacciando il governo che aveva tentato di disarmare la città, e il 26 marzo elesse direttamente il governo cittadino, sopprimendo l’istituto parlamentare.

L’insurrezione contro il governo non fu rose e fiori, tanti furono gli incendi e gli scontri con la truppa regolare, andarono a fuoco intere zone della città. La Comune, che adottò a proprio simbolo la bandiera rossa, iniziò la resa dei conti con i ricchi oppositori fedeli sostenitori del Governo dei borghesi e i rappresentanti religiosi, difensori della proprietà dei possidenti. Le misure sociali che i comunardi adottarono aprivano la nuova epoca del potere degli operai e dei lavoratori poveri sui padroni borghesi benestanti.

Oltre i politici dei padroni e i borghesi, tutta la letteratura conservatrice e liberale del tempo rappresentava i comunardi come una massa di assassini, banditi, scellerati, incendiari, pazzi, alcolizzati, depravati, oziosi.

Questi ed altri giudizi ed opinioni più feroci furono quelle che le classi privilegiate usarono contro i comunardi in tutta l’Europa.

Quando Parigi insorse proclamando la Comune, Marx esaltò l’eroismo dei « compagni parigini », il cui tentativo consisteva essenzialmente « non nel trasferire da una mano all’altra la macchina militare e burocratica […] ma nello spezzarla, e tale è la condizione preliminare di ogni reale rivoluzione popolare ». Le condizioni in cui stava avvenendo la rivoluzione erano estremamente sfavorevoli, ma erano state « le canaglie borghesi di Versailles » a porre ai parigini « l’alternativa di accettare la battaglia o soccombere senza battaglia. La demoralizzazione della classe operaia in quest’ultimo caso sarebbe stata una sciagura molto più grave della perdita di un qualsiasi numero di capi ».

Sull’interpretazione della Comune Marx tornò con La guerra civile in Francia, finita di scrivere il 30 maggio 1871. La Comune è la prima realizzazione storica di quella « Repubblica sociale » in nome della quale nel febbraio del 1848 il proletariato di Parigi era insorto. Poiché « la classe operaia non può mettere semplicemente la mano sulla macchina dello Stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini  essa dovette costruire un nuovo potere politico, e la Comune ne fu la forma positiva. Fu soppresso l’esercito permanente e sostituito con il popolo in armi, spogliata la polizia delle sue attribuzioni politiche, resa gratuita la scuola e liberata dall’ingerenza della Chiesa, resi elettivi i magistrati, eliminati i dignitari dello Stato, retribuiti con salari operai i funzionari pubblici e gli stessi membri della Comune, questa non fu « un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo ». Cessato di esistere il potere dello Stato tradizionale, accentratore e burocratico, trasmesse le sue funzioni agli organismi di base, la Comune « fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta di classe dei produttori contro la classe appropriatrice […] nella quale si poteva compiere l’emancipazione economica del lavoro ».

Certo non possiamo dire che i Gilet Gialli sono i comunardi del 2019. Ma oggi non possiamo che schierarci con coloro che a Parigi si rivoltano contro il potere dei ricchi e contro i simboli della loro sfacciata ricchezza.


mercoledì 6 marzo 2019

Furbate elettorali

Lugano felix

Da due balconi della facciata sud di un nuovo palazzo nel quartiere di Pregassona spiccano slogan della "campagna di primavera" democentrista.
"Riprendiamoci il futuro" (in basso) e "Prima i ticinesi" (sopra).
Pretenzioso il primo: Dopo essersi accaparrato il presente esigono anche l'avvenire.
Sarcastico (eufemismo) l'altro: L'ennesimo casermone è stato edificato dalla ditta "organica" Bassi ricorrendo prevalentemente (altro eufemismo) a manodopera frontaliera.
Una cittadinanza attenta difficilmente gratificherebbe con un voto tali pensate; Evidentemente non è così, quindi (oltre ai padroni) occhio anche (direi soprattutto) al popolino che passa, guarda e fa finta di niente.
Ricordiamoci sempre che la materia prima dei furbi sono i bischeri.