sabato 29 agosto 2020

venerdì 28 agosto 2020

Colombia/USA/Italia: Assassini di Stato

https://www.infoaut.org/conflitti-globali/l-assassino-salvatore-mancuso-non-puo-e-non-deve-entrare-in-italia

martedì 18 agosto 2020

Licenziamenti post Covid 19 (Svizzera felix)

Licenziamenti Manor: ancora una volta, i profitti prima di tutto!


Dopo un’estate d’attesa il padronato sembra ora avere innescato una nuova marcia nel processo di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale. Naturalmente alla base di queste decisioni, che comportano soppressioni di impieghi e rimessa in discussione delle condizioni di lavoro (salari, orari di lavoro, etc.), vengono indicate le conseguenze della pandemia sullo sviluppo degli affari.
Tuttavia noi sappiamo che la crisi pandemica, in molti settori, ha semplicemente rappresentato la scintilla che ha avviato processi di riorganizzazione e ristrutturazione in atto o preparati da anni per rispondere alla crisi di redditività di molti settori e la volontà padronale di difendere e rilanciare i livelli di profitti.
Il comportamento della Manor, che ha deciso di sopprimere il 5% (476 posti di lavoro) dell’organico del gruppo, richiama quello di altri gruppi che già hanno preso decisioni simili negli ultimi tempi, sia nel settore industriale (gruppo Georg Fischer con AGIE e Precicast, Mikron, etc.) che in quello terziario (ricordiamo i vari processi di ristrutturazione e le soppressioni di posti di lavoro annunciati e attuati dal settore bancario). Scrive la stessa Manor : “Ci troviamo nel primo anno di un processo di trasformazione iniziato a fine 2019 e destinato a durare diversi anni. La crisi legata al coronavirus ha colpito duramente il settore del commercio al dettaglio, ma al contempo ha fatto da catalizzatore».
Infatti già nei mesi scorsi il gruppo Manor aveva proceduto a licenziamenti e riorganizzazioni dei punti vendita, primi passi di un processo di ristrutturazione e massimizzazione dei profitti.
Il processo di ristrutturazione viene condotto nel più puro stile Manor, senza che i lavoratori e le lavoratrici o i loro rappresentanti (ricordiamo che Manor non è firmataria di alcun contratto collettivo) siano stati in qualche modo coinvolti in questa decisione. La trafila è quella classica: annuncio dei licenziamenti e di un piano sociale (che, come sempre, immaginiamo sarà più che modesto).
La crisi pandemica ha mostrato in modo chiaro come la difesa dei profitti e delle proprie esigenze da parte delle aziende venga prima di tutto: a cominciare dalla salute dei lavoratori e delle lavoratrici; ma, dopo la fase più acuta, sta dimostrando che tutti i discorsi sulla cosiddetta “ripartenza” altro non sono che artifici retorici. Le aziende ristrutturano e riorganizzano le proprie attività nella sola logica della difesa dei profitti. Inutile dire che, in questo contesto, dimenticano (come fanno sempre) la loro proclamata “responsabilità sociale”.
Di fronte a tutto questo è necessario cercare di organizzare un minimo di resistenza alla soppressione di posti di lavoro, avanzando soluzioni alternative quali, ad esempio, la diminuzione del tempo di lavoro che, oltre a salvare posti di lavoro, rappresenterebbe un redistribuzione della ricchezza. È in questa prospettiva che devono muoversi le organizzazioni sindacali (ammesso che abbiano ancora un minimo di capacità di intervento) rifiutando i licenziamenti e cercando di mobilitare i lavoratori e le lavoratrici.
Manor ha affermato che “L'intero processo si svolge in maniera responsabile e in stretto coordinamento con le parti sociali e le autorità locali”. Non è accettabile che, in un contesto degradato dal punto di vista occupazionale e sociale come quello ticinese, le “autorità locali” accettino questi provvedimenti. È necessario un intervento pubblico che faccia pressione per evitare un ulteriore colpo all’occupazione nel nostro Cantone.

sabato 15 agosto 2020

Omaggio a Maria Callas

Una gran donna per il suo tempo, forse un troppo fragile.
Chapeau !



Il primo capo dei servizi di sicurezza sovietici

"L'UOMO DI FERRO" FELIKS DZERZINSKIJ
"Non pensate che io cerchi forme di giustizia rivoluzionaria; in questo momento non è di giustizia che abbiamo bisogno. Adesso è questione di guerra faccia a faccia, di lotta all'ultimo sangue. O vita o morte! Io propongo, anzi, esigo, un organo per la resa rivoluzionaria dei conti con i controrivoluzionari."
(Discorso di Dzerzinskij al Sovnarkom, 20 dicembre 1917)
Il 20 dicembre 1917 nacque la CEKA (letteralmente "Comitato straordinario di tutte le Russie per combattere la controrivoluzione e il sabotaggio"), antenata del KGB, che aveva nel simbolo uno scudo, per proteggere la rivoluzione, ed una spada, per colpire i suoi nemici. A guidare il nuovo organismo venne posto Feliks Dzerzinskij, nato da famiglia benestante polacca nel 1877 ma ben presto diventato "il più acceso nemico del nazionalismo", tanto da allearsi con i bolscevichi dopo aver fondato il Partito Socialdemocratico del Regno di Polonia e Lituania assieme a Rosa Luxemburg.
Il compromesso di qualsiasi tipo era estraneo alla personalità di Dzerzinskij. Nel 1901 scrisse:
"non sono capace di odiare o di amare a metà, non riesco a dare metà della mia anima. Posso solo darmi per intero: o tutto o niente."
Nella sua carriera di rivoluzionario nella Russia zarista e in Polonia, Dzerzinskij non fu mai fuori dal carcere per più di tre anni. Fu arrestato la prima volta nel 1897, in seguito alla denuncia di un giovane operaio "sedotto da dieci rubli offerti dai gendarmi". Quando, vent'anni più tardi, uscì definitivamente dalla Prigione Centrale di Mosca dopo la Rivoluzione di febbraio, aveva trascorso complessivamente 11 anni in carcere, in esilio o ai lavori forzati, ed era evaso tre volte. Appena libero Dzerzinskij si alleò con i bolscevichi, entrando a far parte del Comitato Centrale bolscevico, ed ebbe un ruolo importantissimo nella Rivoluzione d'ottobre.
Nel suo primo anno come capo della CEKA, Dzerzinskij lavorò, mangiò e dormì nel proprio ufficio alla Lubjanka. La sua capacità di sopportazione e lo stile di vita spartano gli valsero il soprannome di "Feliks uomo di ferro". Il "vecchio cekista" Fedor Timofeevic Fomin così illustrò più tardi, la determinazione con cui Dzerzinskij rifiutava qualsiasi privilegio che non fosse concesso anche agli altri cekisti:
"Un vecchio inserviente gli portava la cena dalla mensa comune usata da tutti i dipendenti della CEKA. A volte cercava di servire a Feliks Edmundovic qualche piatto un po' migliore o più gustoso. Feliks Edmundovic lo guardava di traverso con occhi inquisitori e chiedeva: "Vuoi dirmi che tutti hanno avuto questo per cena, stasera?". Il vecchio, nascondendo il proprio imbarazzo, si affrettava a rispondere: "Tutti, tutti quanti, compagno Dzerzinskij"."
Come Lenin, Dzerzinskij era un incredibile maniaco del lavoro, pronto a sacrificare sè stesso e gli altri alla causa della Rivoluzione. "La mia forza" dichiarò nell'ultimo discorso che tenne prima di morire "deriva dal non essermi mai risparmiato". La citazione più frequente nei testi usati poi dal KGB era il precetto di Dzerzinskij secondo cui i cekisti dovessero avere "cuore caldo, mente fredda e mani pulite."
Il culto di Dzerzinskij iniziò subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1926. Per anni nel circolo ufficiali del KGB, in una sala delle conferenze, l'effigie di Dzerzinskij in uniforme, con la maschera mortuaria e il calco delle mani, rimase collocata in una bara di vetro come oggetto di venerazione così come lo erano le spoglie imbalsamate di Lenin nel mausoleo della Piazza Rossa. Tutti i giovani funzionari del Primo Direttorato Centrale (Servizio Segreto Estero del KGB) dovevano, all'inizio della carriera, deporre fiori o corone davanti ad un grande busto di Dzerzinskij posto su un piedistallo di marmo, costantemente circondato da fiori freschi. I novizi dovevano inoltre osservare un minuto di silenzio a capo chino, come gli ex combattenti davanti alla tomba del soldato ignoto.
(fonte: "La storia segreta del KGB" di Andrew & Gordiewskij, pp. 52-57)
[nell'immagine si vede un'opera (olio su tela) del 1959 che ritrae Lenin e Dzerzinskij che ascoltano un rapporto di Fedotov


USA e Il colpo di stato in Bolivia

https://mps-ti.ch/2020/08/elon-musk-e-il-colpo-di-stato-in-bolivia-per-il-litio-la-risorsa-strategica-del-futuro/

venerdì 14 agosto 2020

Proposta per frontalieri (Italia-Cantone Ticino)

Proposta per frontalieri

Se chiedi a un lavoratore ospite perché ha deciso di sciropparsi chilometri di  strada e code ogni giorno per guadagnarsi lo stipendio, ti risponderà che da loro il lavoro non c’è e quando si trova, non è sicuro che a fine mese arrivi il salario pattuito; punto. Ma come? Dottori, tecnici, infermieri, commercialisti, docenti, giornalisti, brillanti laureati non trovano lavoro? O la spinta a venire oltre la ramina ha giustificazioni che proprio nulla in comune hanno con l’internazionalismo e la voglia di nuove esperienze professionali? Insomma da noi prendono il doppio, anche se l’euro è più forte del franco. Allora via col vento rossoblù, rigorosamente uno per macchina (e ti pareva!) a varcare soglie di edifici pubblici, ospedali, cliniche, università, scuole pubbliche/private, redazioni, studi tecnici e commerciali. Bonazze imbellettate e maschietti alla Philippe Plein gironzolano con vetture di tendenza nelle pause professionali addentando panini portati da casa, pernottando a casa di colleghi compiacenti, regalando all’accogliente Cantone gli spiccioli per un caffè e una birra. E noi? Politici e padroni ringraziano per il know how apportato, i comuni mortali per il posto di lavoro sempre più difficile da trovare e gli stipendi fermi all’inizio del secolo. Se a Bellinzona ci fossero dei “rappresentanti del popolo”, l’andazzo avrebbe preso da tempo una piega diversa. Ecco un esempio: I lavoratori insubrici che desiderano contribuire al benessere del Cantone saranno autorizzati a farlo (dopo attento esame!) percependo retribuzioni equipollenti a quelle in vigore nei loro luoghi di domicilio e caldamente invitati all’utilizzo di mezzi pubblici o collettivi dove sia possibile e razionale per la trasferta.Sarà data precedenza a chi si trova in stato di effettiva necessità. Purtroppo a Bellinzona c’è di tutto meno quelli citati sopra e, fatto ancora più grave, alla sempre più esigua maggioranza di votanti ticinesi sembra non interessi granché un’eventuale scossa di assestamento. Bene, come dicono dalle mie parti, il mondo è dei furbi e dei maneggioni, ma se questi spadroneggiano, significa che ci sono moltitudini di bischeri che glielo permettono.

Documento

Francesco Cossiga: “Br, eravate dei nemici politici, non dei criminali”

«Ormai la cosiddetta giustizia che si è esercitata e ancora si esercita verso di voi, anche se legalmente giustificabile, è politicamente o vendetta o paura»


Senato della Repubblica
Francesco Cossiga
Signor Paolo Persichetti
Casa Circondariale Marino del Tronto
Frazione Navicella, 218
63100 Ascoli Piceno
Roma, 27 settembre 2002
Gentile Signor Persichetti,
ho letto la Sua intervista a La Stampa (25 settembre 2002) e La ringrazio per l’attenzione che Lei e i Suoi compagni riservate alle mie valutazioni e ai miei giudizi.
Io ho combattuto duramente il terrorismo, ma ho sempre ritenuto che certo si trattasse di un gravissimo e deprecabile fenomeno politico, ma che affondava le sue radici nella particolare situazione sociale politica del Paese, e non invece un “humus delinquenziale”.
Il terrorismo di sinistra – frutto anche di chi nei partiti e nella Cgil lanciava la pietra e nascondeva la mano, e che insegnava la “violenza” in Parlamento e “in piazza”, ma non si é poi assunto, tutt’altro, la responsabilità delle conseguenze pratiche degli insegnamenti stessi -, nasce a mio avviso da una lettura “non storica” del marxismo-leninismo e da una “mitizzazione” della Resistenza e della Liberazione che, nel contenuto sociale e politico della sinistra, è fallita perché ha portato alla ricostituzione di un “regime delle libertà borghesi”.
Ritengo che l’estremismo di sinistra, che era non un terrorismo in senso proprio (non credeva infatti che solo con atti terroristici si potesse cambiare la situazione politica), ma era “sovversione di sinistra” come agli albori era il bolscevismo russo, e cioè un movimento politico che, trovandosi a combattere un apparato dello Stato, usava metodi terroristici come sempre hanno fatto tutti i movimenti di liberazione, Resistenza compresa (l’assassinio di un grande filosofo, anche se fascista, che camminava tranquillamente per strada, Giovanni Gentile, da parte di Gap fiorentini si può giudicare positivamente o negativamente, ma da un punto di vista teorico è stato pur sempre un atto di terrorismo) pensando di innescare – e qui era l’errore anche formale – un vero e proprio movimento rivoluzionario.
Voi siete stati battuti dall’unità politica tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, e per il fatto che non siete stati in grado di trascinare le masse in una vera e propria rivoluzione. Ma tutto questo fa parte di un periodo storico dell’Italia che è concluso; e ormai la cosiddetta “giustizia” che si è esercitata e ancora si esercita verso di voi, anche se legalmente giustificabile, è politicamente o “vendetta” o “paura”, come appunto lo è per molti comunisti di quel periodo, quale titolo di legittimità repubblicana che credono di essersi conquistati, non con il voto popolare e con le lotte di massa, ma con la loro collaborazione con le Forze di Polizia e di Sicurezza dello Stato. Per questo, io che sono stato per moltissimi di voi: “Cossiga con la K” e con le due [N.d.R. qui viene lasciato uno spazio riempito poi con due “S” runiche, a mano], e addirittura “un capo di assassini e un mandante di assassinii”, oggi sono perché si chiuda questo doloroso capitolo della storia civile e politica del Paese, anche ad evitare che pochi irriducibili diventino cattivi maestri di nuovi terroristi, quelli che hanno ucciso D’Antona e Biagi che, per le Forze di Polizia e per la giustizia, è facile ricercare tra di voi, perché voi siete stati sconfitti politicamente e militarmente con l’aiuto della sinistra: andare a cercarli altrove potrebbe essere forse più imbarazzante…
Purtroppo ogni tentativo mio e di altri colleghi della destra o della sinistra di far approvare una legge di amnistia e di indulto si è scontrato soprattutto con l’opposizione del mondo politico che fa capo all’ex-partito comunista.
Leggo che Le hanno rifiutato l’uso di un computer, che onestamente non sapevo costituisse un’arma da guerra! Qualora Lei lo richieda ancora e ancora glielo rifiutassero, me lo faccia sapere, che provvederò io a farglielo dare.
Non perda mai la Sua dignità di uomo neanche in carcere, luogo non fatto e non gestito certo per “redimere” gli uomini! E non perda mai la speranza.
Cordialmente,
Francesco Cossiga