mercoledì 25 settembre 2013

DDR: Si stava meglio quando si stava peggio?


Il prossimo 3 ottobre sarà il 23° anniversario della riunificazione tedesca e certamente a Berlino non ci saranno adunate oceaniche per ricordare l’evento. Anche nel 1991 la folla convenuta in città per festeggiare il primo anniversario della Germania unita non era raggiante. Un cartello in mezzo a un folto gruppo di giovani denunciava: “Ich habe meine Heimat verloren und nicht viedergefunden!” Ho perso la mia patria e non ne ho travata un’altra! Chissà dove saranno quei giovani oggi; saranno riusciti a fare quanto prima era loro burocraticamente impedito, si saranno realizzati professionalmente o tireranno avanti con lavori precari tra un collocamento e l’altro? Il dubbio è quanto mai lecito nonostante la Germania continui ad essere la locomotiva d’Europa con tassi di disoccupazione contenuti. Lo dicono le statistiche ufficiali, quelle che, ormai lo sanno quasi tutti, sono come i bikini; fanno vedere molto ma nascondono l’essenziale.
Già, l’essenziale che è invisibile agli occhi. Quelli della ex DDR sono stati cancellati dalla memoria del paese e usati per anni, dentro i confini nazionali, come poi tutta l’Europa ha fatto con gli extracomunitari; forza lavoro a basso costo e per di più ad alto valore aggiunto. La grande Germania ha potuto continuare ad essere tale facendo leva proprio sui cugini dell’est; in silenzio perché dei meriti dei perdenti non è conveniente parlare. Poi ci sarebbero i milioni di tedeschi caduti in miseria per svariati motivi legati proprio al repentino cambio di regime. Cito parte di una lettera indirizzata all’ex cancelliere Kohl da Detlev Dalk, capogruppo al Bundestag del “Neues Forum”, proprio il movimento DDR che dette il via alle manifestazioni di piazza che accelerarono la caduta del muro. Dice più o meno così:” Nella DDR ci sono centinaia di migliaia di persone che sono riuscite ad acquistare una vecchia casa senza essere funzionari del regime né spie della STASI. L’hanno fatto lavorando sodo e risparmiando ogni marco. Ora, in base ad un diktat della Germania Federale, i vecchi proprietari( e i loro eredi) a quaranta anni di distanza da quando è stata loro espropriata , possono farsi restituire la casa e ottenere l’affitto arretrato da chi le ha abitate…” Non si conosce la risposta di Kohl ma la fine che fece Dalk: suicidio, alla maniera dei bonzi vietnamiti, come estrema protesta per una legge infame che ha ignorato tutti i buoni propositi di riconciliazione a pari dignità tra le due vecchie repubbliche.
Non sono pochi quelli che continuano a tenere duro, a non rinnegare una parte importante del proprio passato; testimoni di una storia finita ma non inutile. Come il signor Siegfried Rataizik, capo della prigione Hoehenschoenhausen della STASI dal 1951 al 1990, che liquida come chiacchiere l’accusa che lui e i suoi uomini punissero i dissidenti con gli stessi metodi usati dai nazisti. Così un giorno, quando ormai la prigione era diventata un memoriale,si è confuso fra le visite guidate assieme ad altri ex compagni del Ministero e a gran voce hanno accusato di calunnia le guide che raccontavano dei brutali atti compiuti negli scantinati del penitenziario ai tempi della DDR. “Qui non si è mai torturato nessuno, si seguivano soltanto le direttive ufficiali del Governo, non abbiamo fatto niente di male e quello che viene raccontato sono solo menzogne”. Da quella volta ha il divieto di entrare nella struttura. Con i suoi ex compagni di lavoro ha anche pubblicato un libro di memorie “La stanza degli orrori del dottor Knabe”, dal nome dell’attuale direttore del museo. Racconta di aver trovato lettere d’insulti nella buca delle lettere e delle visite di ex detenuti al suo domicilio. Ha conservato le prime e fatto entrare i secondi per dare le sue spiegazioni. Tuttora gli capita di viaggiare per tenere conferenze, anche all’Ovest, a 82 anni suonati e con la moglie disabile per un ictus. Percepisce una rendita di 800 euro al mese, ma di soldi non vuole parlare. Preferisce dire della soddisfazione che prova quando osserva da vicino il capitalismo reale, la crisi delle banche, del lavoro, i guadagni sulla pelle dei malati e conclude: “Quelli che allora reclamavano la libertà di viaggiare e che hanno mandato a picco la DDR, adesso non hanno neppure i soldi per andare a lavorare all’estero”. Non voleva vivere nel capitalismo e adesso lo fa perché è costretto. Anche per questo forse il concetto di “libertà” non gli fa venire in mente niente di positivo. Lo stesso vale per quello di “democrazia”. Siegfried Rataizik è attivo nell’associazione “Società di sostegno giuridico e umanitario” che in una nota informativa si è indignata del fatto che nella Germania riunificata si permetta alla direzione di un museo di vietare l’ingresso ad ex dipendenti per impedire la diffusione d’informazioni sulla carcerazione preventiva non in linea con la versione dominante.

Scherzi della Storia: Dopo circa un quarto di secolo i federali si beccano le stesse accuse che una volta toccavano ai burocrati del socialismo reale tedesco.

venerdì 6 settembre 2013

Quando i politici vanno in pensione...

...lasciano sempre (oltre al ricordo) qualcosa ai cittadini. È successo anche a Lugano in occasione della "ritirata" del suo maxi-sindaco che, da ottimo partigiano dell'innovazione tecnologica, ha voluto presenziare all'inaugurazione delle nuove colonnine salva-pedoni. Da oggi chi vuole attraversare la strada non deve fare altro che premere un pulsante per far emettere dalla citata colonnina un fascio di luce Led intermittente e un suono per ciechi e ipovedenti. Tutti bravi; progettisti, costruttori e installatori, oltre al super sindaco naturalmente. Non sarà più necessario, per il pedone, dialogare con l'automobilista con i gesti della mano.
Modalità vetusta e quindi da abrogare; soprattutto perché non costava nulla!

giovedì 5 settembre 2013

A proposito della "democrazia"

Non è mai troppo tardi…


Alla fine ci sono arrivati anche i tipi della Regione Ticino, solo che non potevano certo dirlo in prima persona e allora hanno dato “la seconda” dell’edizione di mercoledì 4 settembre allo storico Luciano Canfora, in questi giorni a Lugano per conferenze e incontri, per affermare l’indicibile: La democrazia è un castello vuoto, un inghippo architettato dai mercanti planetari per far fesso il popolino convinto di avere in mano le redini del paese attraverso i cento volti del suffragio universale. È una buona notizia, indubbiamente, nonostante il ritardo da “fuori tempo massimo”.
Ma cosa dice nell’intervista l’esimio professore che non risulta abbia un passato alla Senzani o militanze giovanili nell’ultra sinistra extraparlamentare, anche se, nel lontano 1999, qualcuno ricorderà una sua candidatura alle elezioni europee per i “Comunisti italiani” che, come tutti immaginano, sono cosa diversa dai “comunisti combattenti”? Vediamo:
“ La democrazia è un gioco, un’invenzione, nel senso che nessuno è pienamente libero, il voto non è mai fuori da condizionamenti che sono come l’aria che si respira. Paesi come la Svizzera, dove la percentuale di votanti è in generale molto bassa, dimostrano la diffusa consapevolezza dell’inutilità di quel gioco”.
I confederati sono ancora un popolo d’inquilini ma a ogni votazione per dare più diritti alla categoria stravincono sempre i proprietari degli immobili e dei terreni. Stessa sorte sul tema delle casse malati; ogni anno tutti, ma proprio tutti, s’indignano per lo sconsiderato aumento dei premi ma alla prova dei fatti la spunta sempre la lobby delle Casse Malati e della farmaceutica. Qualcuno si è chiesto perché? La nostra è una classe politica “di milizia”che, democraticamente, s’impegna a fare gli interessi degli elettori fino al momento di mettere il sedere sulla poltroncina parlamentare, poi “ciao Pepp”: Tutti per uno (dei poteri forti) e ognuno per conto suo. Altro esempio pratico: Chi ha votato, nella commissione parlamentare, contro il rimborso dei premi pagati in eccesso da alcuni Cantoni? I rappresentanti socialdemocratici che sostengono la politica sanitaria dei loro governi regionali, dove i premi sono più bassi, e che, a Berna, ovviamente non se la sentono di sputare sul piatto in cui mangiano.
Ma torniamo al professor Canfora: “Un gioco, la democrazia, inutile ma preziosissimo e indispensabile: Guai alle élites che non fanno (o sanno) fare quel gioco… Putin non aspetta passivamente di diventare presidente, fa sfogare i russi con il voto, come fanno gli americani, gli italiani, gli inglesi… I parlamentari eletti non contano nulla, contano altre forze (FMI, BCE…) dalle quali i governanti prendono ordini. Dirlo chiaramente dà fastidio ed è bene non dirlo, così si continua a pensare di detenere la sovranità”.
In sintesi si potrebbe concludere:
-Solo i capitalisti sanno fare bene il loro mestiere, anestetizzando i cittadini con i loro persuasori occulti per convincerli che vivono nel migliore dei mondi possibili. I portabandiera di tutti gli altri schieramenti sono complementari a questa strategia, subalterni e in qualche caso inutili (superfluo fare nomi noti a tutti).
-I comunisti non esistono (almeno nel primo mondo e nel migliore dei casi dal 1956) e quando ci sono, rappresentano la parodia di se stessi. Questo fino al giorno in cui non confonderanno più il “superamento del capitalismo” con un radicale cambiamento dello stato presente delle cose.

Ma credo che con il personale politico in attività, questo sia pretendere troppo.

domenica 25 agosto 2013

Tanto per non parlare a vanvera... 


"Quella storia è finita da tempo e in questo senso è giusto parlare di un fallimento. Ma per un giudizio storico si deve cercar di capire quello che è successo, le cause e il contesto. Vero, i brigatisti militanti, e ciò vale per ogni esperienza guerrigliera, erano un numero esiguo, ma dentro un contesto di relazioni sociali e politiche più ampio, per questo l’area in cui si potevano muovere e che si legava alle lotte operaie e proletarie e anche al vissuto e al dibattito sulla Resistenza, era assai più estesa e articolata della loro consistenza".

Giovanni Senzani, Agosto 2013

giovedì 22 agosto 2013

L'Italia che resiste

Tanto per capire da che parte sono sempre stato e da che parte va il popolo italiano, quello che ha costruito il paese. Il contributo non è recentissimo ma dalla sua redazione la situazione generale non è che sia migliorata, quindi…buona lettura.

 

Ce li mangeremo vivi.


"Ce li mangeremo vivi. Venga questa crisi, bussi, le sarà aperto, non aspettiamo altro. Se necessario butteremo giù il portone. E' già successo nel '43 e succederà ancora e in meglio. Non abbiamo più nulla da perdere, ma ci siamo abituati. Noi. Loro con la puzza sotto il naso non sanno cos'è la vera crisi. Loro devono averne paura. Noi che non abbiamo studiato alla Bocconi, non siamo entrati nello studio di papà o di mammà, non abbiamo leccato il culo per fare carriera in un partito o in ufficio statale. Nessuno ci ha raccomandati e raccomandazioni non ne abbiamo mai volute. Siamo ancora qui e incazzati il giusto per farvi il culo. Altro che chiedervi la carità o discutere con quel rottame della Fornero dei diritti dei lavoratori. Noi ce li mangeremo vivi. Ci scaldavamo con le palle di carta bagnate, pressate e messe nella stufa. Mangiavamo croste di formaggio scaldate sul ferro. Non ne ho mai più mangiate di così buone. Il bagno lo facevamo nella tinozza con l'acqua che veniva scaldata sopra la cucina economica. Il cinema era sempre in terza visione e solo una volta al mese. I nostri padri facevano i turni in fabbrica, quando noi dormivamo, loro lavoravano. Una carezza e un "Fai il bravo con la mamma" era l'unico fugace contatto al mattino. La domenica andavamo fuori città in bicicletta con qualche panino, una gazzosa e una bottiglia di vino rosso. D'estate ci scappava anche un'anguria. Che cazzo ci possono fare questi fighetti vestiti Armani, questi corrotti dentro, questi deputatini, questi mafiosetti, marci, marci, buoni solo a parlare, a cianciare, che hanno rovinato il Paese e ora ridono di noi. Noi non abbiamo nulla da perdere perché siamo stati abituati a vivere con poco e anche con nulla. Voi perderete tutto tranne la dignità, quella non l'avete mai avuta. Leggevamo il giornale solo la domenica quando lo comprava nostro padre. Non poteva permetterselo gli altri giorni. Era il Corriere della Sera di Pasolini, Montanelli, Buzzati. Uno solo di loro vale più di tutti i giornalai di adesso. Ci siamo rotti i coglioni e saremo poco educati con chi ci prende per il culo. Ce li mangeremo vivi, ben venga la crisi per fare pulizia."


Un ex operaio, 20 marzo 2012

sabato 10 agosto 2013

La tortura in Italia

Banana Republic 


Niente a che vedere con l’album dal vivo di Lucio Dalla e Francesco De Gregori uscito nel 1979, se non per il rimando all’emergenza nazionale di quel periodo, i cosiddetti anni di piombo.
Dopo il Corriere della Sera, il Corriere del Mezzogiorno, Rai tre (Chi l’ha visto), il Tribunale di Perugia, Adriano Sofri, Nicola Rao, tanto per citare i più “visibili, arriva Giuliano Amato, politico di lungo corso, uomo di stato e di cultura, professore di diritto costituzionale.
Giuliano Amato è stato consigliere economico e politico di Bettino Craxi fino al 1989, poi ministro con Massimo D’Alema nel 1998, capo del governo nel 2000 e ministro dell’interno nel 2006 con Prodi. Insomma una personalità di rilievo internazionale. Per questo motivo le parole di Amato sulle torture sono qualcosa di più della semplice testimonianza di quello che una figura di potere di così alto spessore ha potuto sapere, sentire, leggere o conoscere nei posti chiave che ha occupato. Se un uomo così parla, dopo alcuni decenni dai fatti, è perché vuole sancire qualcosa. E al di là del consueto linguaggio felpato, delle cautele espressive, ildottor Sottiledice delle cose molto chiare.
Vediamole:
“Accanto alle inchieste coraggiose e ai sacrifici vi fu infatti il ricorso a forme di pressione fisica e psicologica su alcune migliaia di arrestati e detenuti, che nel caso dei primi sembra siano talvolta arrivate, malgrado le smentite, a toccare la tortura. A parlarne sono stati gli stessi funzionari che ne furono i protagonisti. Essi hanno per esempio accennato all’uso del water boarding (allora chiamato «algerina» perché usato dai francesi in Algeria) da parte di un gruppo speciale che – probabilmente ispirandosi a uno «spaghetti western» di successo – si era ribattezzato «I cinque dell’Ave Maria». Le applicazioni controllate furono in tutto poche decine, e di esse si discusse alla Camera per tre volte dal marzo al luglio 1982, quando Rognoni negò ripetutamente la cosa, ma ve ne furono anche di selvagge, come ammise Scalfaro all’epoca ministro dell’Interno”.
Riassumendo:
a) si è ricorso a strumenti d’eccezione ed extralegali;
b) si è fatto uso della tortura, nonostante le smentite;
c) seppure in numero limitato alcuni magistrati erano al corrente dell’impiego della tortura. In un Paese dove vige l’azione penale obbligatoria sapere e non intervenire significa una cosa sola: coprire. Quindi un pezzo di magistratura, non importa la quantità ma la qualità, in altre parole le procure che gestivano le inchieste più importanti sulla lotta armata, hanno coperto e difeso l’impiego strategico della tortura (vero signor Caselli?).
Soprattutto trovano una sonora smentita le frasi del presidente della Repubblica Sandro Pertini, che fu compagno di partito di Amato, il quale aveva detto che in Italia il terrorismo era stato sconfitto nelle aule di giustizia e non negli stadi; e ancora di più le incaute dichiarazioni del generale Dalla Chiesa che rispondendo a un giornale argentino affermò: “L’Italia è un Paese democratico che poteva permettersi il lusso di perdere Moro non di introdurre la tortura”.

Adesso, dopo Moro, hanno perso anche la faccia; e non è poco!

lunedì 5 agosto 2013

Quanto sono bravi i “cattivi”?


Sicuramente più dei buoni quando diventano cattivi che, da arrabbiati, la cattiveria se la inventano, anche se non la conoscono. So di parecchie brave persone, timorate di Dio, annegate in meschinità paralizzanti come la posta ricevuta per sbaglio, aperta, letta e gettata anche se il vero destinatario è a portata di buca lettere; conosco la prassi ricorrente di appoggiarsi a conoscenze “di peso” per sapere come fa la famiglia del tale ad andare in vacanza tutti gli anni con uno stipendio solo e tre figli a carico. Ho visto pareti divisorie di terrazze, balconi e cantine blindate più di Fort Knox, per impedire ai vicini di sbirciare chissà quali tesori. Vette di stupidità più che di cattiveria, d’accordo, ma la direzione di marcia è quella giusta.
Sempre stato così diranno in molti, vero anche questo, solo che in altri tempi la compensazione con le persone a modo era cosa da niente. Oggi l’esercito dei “bravi in piazza e ostili in stanza” ha una crescita esponenziale, un po’ come l’andazzo dei bonus per top manager rispetto al carovita del cittadino semplice.
Sul tema eccovi un fatto dei primi anni cinquanta, capitato nella valle dell’Arno quando il fiume non era quel rigagnolo striminzito e stagnante che oggi si può intravedere dai tratti di autostrada che gli corrono a fianco.
In estate la seconda serata era dedicata alla passeggiata. Bicicletta, guinzaglio e via con la Dora e il nonno verso il fresco del fiume, fra il reticolo di viottoli sterrati che univa le case coloniche ai campi del lavoro agricolo; vere e proprie fortezze verdi quando in agosto il granoturco superava i due metri di altezza. C’era da perdersi se non si conosceva la zona, specie di notte, nonostante la luna, le lucciole e il fanalino della bici.
Fu in una di queste che s’intrufolò all’improvviso la Dora, come attratta da non so cosa. Ci fermammo per aspettarla; niente, nonostante i fischi di richiamo del nonno. Appoggiammo le biciclette alle piante di mais e seguimmo la direzione che aveva preso. Pochi passi ed eccola là, intenta ad annusare un giovanotto un po’ scapigliato che cercava di accarezzarla.
-“Gran bella bestia, di razza vero?”
-“Quasi”, rispose il nonno.
-“Sapevo di non sbagliare, con tutti i lupi che ho visto nei recinti di mio zio”.
-“Suo zio ha un allevamento di pastori tedeschi ?” Chiesi anticipando il nonno.
-“No, curava quelli dei nostri corpi di polizia e poi dei tedeschi durante gli ultimi anni di guerra”.
-“Bel lavoro e sicuramente ben pagato” aggiunse il nonno.
-“Non saprei, aveva ricevuto l’incarico da mio padre che era il Podestà di Arezzo, non poteva certo rifiutare e …”.
- “… e uno di famiglia così importante cosa ci fa la notte in mezzo a un campo di granturco?” chiese prendendogli il tempo, con una punta di sarcasmo, il nonno.
-“Brutta storia. Ero venuto in paese per una festa danzante, sa come succede: il ballo, le donne, le bevute, una parolina di troppo che va di traverso a qualche fidanzato in incognito e la rissa. Sono uno che prima di prenderle le dà e così è stato anche stasera. L’altro è andato a terra subito e c’è rimasto, il gestore del locale ha chiamato la polizia e, con la famiglia che mi ritrovo, sono scappato. Non mi consegno ai carabinieri senza un mio amico avvocato che però non posso certo tirare giù dal letto a quest’ora; lo farò domattina se riesco a passare la notte”.
-“ Hai fatto una bischerata, ragazzo, rischiare la galera per una che non conosci nemmeno. Non so che piega potrà prendere la faccenda ma da noi non avrai noie. Resta qui fino a quando non comincia a fare chiaro, non un minuto di più perché nei campi poi arrivano i contadini, risali l’argine del fiume fino a che incontri un capanno adibito a chiosco per bibite e panini. Poco più in là c’è una stradina che porta in paese dalla parte opposta a quella da dove sei venuto stanotte. Se sei accorto, non avrai problemi a raggiungere la casa del tuo avvocato. Ora smetti di accarezzare il cane e … buona fortuna.”.
Stavamo per scomparire nel buio quando il giovane ci chiese chi doveva ringraziare. Il nonno rispose con tre nomi e un cognome, il suo, assieme alla professione: “Operaio comunista”.
Due settimane dopo arrivò a casa una busta con tanto di stemma famigliare in rilievo su carta di lusso, come il foglio che conteneva, dove stava scritto: “Ancora grazie per il consiglio. Mi saluti tanto il nipote e la Dora. Con riconoscenza e stima”. Poi la firma, in penna stilografica.
Provate a replicare il fatto oggi e, con tutti i progressi compiuti dalla società civile in questi decenni, vediamo se riuscite a leggere uno straccio di lettera, cartolina o mail.
“Se mi sbaglio mi corrigerete” (spero), tanto per fare il verso a qualcuno che veniva da lontano.