Banana Republic
Niente a che vedere
con l’album dal vivo di Lucio Dalla e Francesco De Gregori uscito nel 1979, se
non per il rimando all’emergenza nazionale di quel periodo, i cosiddetti anni
di piombo.
Dopo il Corriere della
Sera, il Corriere del Mezzogiorno, Rai tre (Chi l’ha visto), il Tribunale di
Perugia, Adriano Sofri, Nicola Rao, tanto per citare i più “visibili, arriva
Giuliano Amato, politico di lungo corso, uomo di stato e di cultura, professore
di diritto costituzionale.
Giuliano Amato è stato
consigliere economico e politico di Bettino Craxi fino al 1989, poi ministro
con Massimo D’Alema nel 1998, capo del governo nel 2000 e ministro dell’interno
nel 2006 con Prodi. Insomma una
personalità di rilievo internazionale. Per questo motivo le parole di Amato
sulle torture sono qualcosa di più della semplice testimonianza di quello che
una figura di potere di così alto spessore ha potuto sapere, sentire, leggere o
conoscere nei posti chiave che ha occupato. Se un uomo così parla, dopo alcuni
decenni dai fatti, è perché vuole sancire qualcosa. E al di là del consueto
linguaggio felpato, delle cautele espressive, il”dottor Sottile”dice
delle cose molto chiare.
Vediamole:
“Accanto alle
inchieste coraggiose e ai sacrifici vi fu infatti il ricorso a forme di
pressione fisica e psicologica su alcune migliaia di arrestati e detenuti, che
nel caso dei primi sembra siano talvolta arrivate, malgrado le smentite, a
toccare la tortura. A parlarne sono stati gli stessi funzionari che ne furono i
protagonisti. Essi hanno per esempio accennato all’uso del water boarding (allora chiamato
«algerina» perché usato dai francesi in Algeria) da parte di un gruppo speciale
che – probabilmente ispirandosi a uno «spaghetti western» di successo – si era
ribattezzato «I cinque dell’Ave Maria». Le applicazioni controllate furono in
tutto poche decine, e di esse si discusse alla Camera per tre volte dal marzo
al luglio 1982, quando Rognoni negò ripetutamente la cosa, ma ve ne furono
anche di selvagge, come ammise Scalfaro all’epoca ministro dell’Interno”.
Riassumendo:
a) si è ricorso a strumenti d’eccezione ed extralegali;
b) si è fatto uso della tortura, nonostante le smentite;
c) seppure in numero limitato alcuni magistrati erano al
corrente dell’impiego della tortura. In un Paese dove vige l’azione penale
obbligatoria sapere e non intervenire significa una cosa sola: coprire. Quindi
un pezzo di magistratura, non importa la quantità ma la qualità, in altre
parole le procure che gestivano le inchieste più importanti sulla lotta armata,
hanno coperto e difeso l’impiego strategico della tortura (vero signor
Caselli?).
Soprattutto trovano una sonora smentita le frasi del presidente
della Repubblica Sandro Pertini, che fu compagno di partito di Amato, il quale
aveva detto che in Italia il terrorismo era stato sconfitto nelle aule di
giustizia e non negli stadi; e ancora di più le incaute dichiarazioni del
generale Dalla Chiesa che rispondendo a un giornale argentino affermò:
“L’Italia è un Paese democratico che poteva permettersi il lusso di perdere
Moro non di introdurre la tortura”.
Adesso, dopo Moro, hanno perso anche la faccia; e non è poco!
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