DDR: Si stava meglio quando si stava
peggio?
Il prossimo 3 ottobre
sarà il 23° anniversario della riunificazione tedesca e certamente a Berlino non
ci saranno adunate oceaniche per ricordare l’evento. Anche nel 1991 la folla
convenuta in città per festeggiare il primo anniversario della Germania unita
non era raggiante. Un cartello in mezzo a un folto gruppo di giovani denunciava:
“Ich habe meine Heimat verloren und nicht viedergefunden!” Ho perso la mia
patria e non ne ho travata un’altra! Chissà dove saranno quei giovani oggi; saranno
riusciti a fare quanto prima era loro burocraticamente impedito, si saranno realizzati
professionalmente o tireranno avanti con lavori precari tra un collocamento e
l’altro? Il dubbio è quanto mai lecito nonostante la Germania continui ad
essere la locomotiva d’Europa con tassi di disoccupazione contenuti. Lo dicono
le statistiche ufficiali, quelle che, ormai lo sanno quasi tutti, sono come i
bikini; fanno vedere molto ma nascondono l’essenziale.
Già, l’essenziale che è
invisibile agli occhi. Quelli della ex DDR sono stati cancellati dalla memoria
del paese e usati per anni, dentro i confini nazionali, come poi tutta l’Europa
ha fatto con gli extracomunitari; forza lavoro a basso costo e per di più ad
alto valore aggiunto. La grande Germania ha potuto continuare ad essere tale
facendo leva proprio sui cugini dell’est; in silenzio perché dei meriti dei
perdenti non è conveniente parlare. Poi ci sarebbero i milioni di tedeschi
caduti in miseria per svariati motivi legati proprio al repentino cambio di
regime. Cito parte di una lettera indirizzata all’ex cancelliere Kohl da Detlev
Dalk, capogruppo al Bundestag del “Neues Forum”, proprio il movimento DDR che
dette il via alle manifestazioni di piazza che accelerarono la caduta del muro.
Dice più o meno così:” Nella DDR ci sono centinaia di migliaia di persone che
sono riuscite ad acquistare una vecchia casa senza essere funzionari del regime
né spie della STASI. L’hanno fatto lavorando sodo e risparmiando ogni marco.
Ora, in base ad un diktat della Germania Federale, i vecchi proprietari( e i
loro eredi) a quaranta anni di distanza da quando è stata loro espropriata ,
possono farsi restituire la casa e ottenere l’affitto arretrato da chi le ha abitate…”
Non si conosce la risposta di Kohl ma la fine che fece Dalk: suicidio, alla
maniera dei bonzi vietnamiti, come estrema protesta per una legge infame che ha
ignorato tutti i buoni propositi di riconciliazione a pari dignità tra le due
vecchie repubbliche.
Non sono pochi quelli
che continuano a tenere duro, a non rinnegare una parte importante del proprio
passato; testimoni di una storia finita ma non inutile. Come il signor Siegfried
Rataizik, capo della prigione Hoehenschoenhausen della STASI dal 1951 al 1990,
che liquida come chiacchiere l’accusa che lui e i suoi uomini punissero i
dissidenti con gli stessi metodi usati dai nazisti. Così un giorno, quando
ormai la prigione era diventata un memoriale,si è confuso fra le visite guidate
assieme ad altri ex compagni del Ministero e a gran voce hanno accusato di
calunnia le guide che raccontavano dei brutali atti compiuti negli scantinati
del penitenziario ai tempi della DDR. “Qui non si è mai torturato nessuno, si
seguivano soltanto le direttive ufficiali del Governo, non abbiamo fatto niente
di male e quello che viene raccontato sono solo menzogne”. Da quella volta ha
il divieto di entrare nella struttura. Con i suoi ex compagni di lavoro ha
anche pubblicato un libro di memorie “La stanza degli orrori del dottor Knabe”,
dal nome dell’attuale direttore del museo. Racconta di aver trovato lettere
d’insulti nella buca delle lettere e delle visite di ex detenuti al suo
domicilio. Ha conservato le prime e fatto entrare i secondi per dare le sue
spiegazioni. Tuttora gli capita di viaggiare per tenere conferenze, anche
all’Ovest, a 82 anni suonati e con la moglie disabile per un ictus. Percepisce
una rendita di 800 euro al mese, ma di soldi non vuole parlare. Preferisce dire
della soddisfazione che prova quando osserva da vicino il capitalismo reale, la
crisi delle banche, del lavoro, i guadagni sulla pelle dei malati e conclude:
“Quelli che allora reclamavano la libertà di viaggiare e che hanno mandato a
picco la DDR, adesso non hanno neppure i soldi per andare a lavorare
all’estero”. Non voleva vivere nel capitalismo e adesso lo fa perché è
costretto. Anche per questo forse il concetto di “libertà” non gli fa venire in
mente niente di positivo. Lo stesso vale per quello di “democrazia”. Siegfried
Rataizik è attivo nell’associazione “Società di sostegno giuridico e
umanitario” che in una nota informativa si è indignata del fatto che nella Germania
riunificata si permetta alla direzione di un museo di vietare l’ingresso ad ex
dipendenti per impedire la diffusione d’informazioni sulla carcerazione
preventiva non in linea con la versione dominante.
Scherzi della Storia:
Dopo circa un quarto di secolo i federali si beccano le stesse accuse che una
volta toccavano ai burocrati del socialismo reale tedesco.
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