Licenziamenti Manor: ancora una volta, i profitti prima di tutto!
Fonte:https://mps-ti.ch/
Dopo un’estate d’attesa il padronato sembra ora avere innescato una nuova
marcia nel processo di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale.
Naturalmente alla base di queste decisioni, che comportano soppressioni di
impieghi e rimessa in discussione delle condizioni di lavoro (salari, orari di
lavoro, etc.), vengono indicate le conseguenze della pandemia sullo sviluppo
degli affari.
Tuttavia noi sappiamo che la crisi pandemica, in molti settori, ha
semplicemente rappresentato la scintilla che ha avviato processi di riorganizzazione e ristrutturazione in atto o preparati
da anni per rispondere alla crisi di redditività di molti settori e la volontà
padronale di difendere e rilanciare i livelli di profitti.
Il comportamento della Manor, che ha deciso di sopprimere il 5% (476 posti
di lavoro) dell’organico del gruppo, richiama quello di altri gruppi che già
hanno preso decisioni simili negli ultimi tempi, sia nel settore industriale
(gruppo Georg Fischer con AGIE e Precicast, Mikron, etc.) che in quello
terziario (ricordiamo i vari processi di ristrutturazione e le soppressioni di
posti di lavoro annunciati e attuati dal settore bancario). Scrive la stessa
Manor : “Ci troviamo nel primo
anno di un processo di trasformazione iniziato a fine 2019 e destinato a durare
diversi anni. La crisi legata al coronavirus ha colpito duramente il settore
del commercio al dettaglio, ma al contempo ha fatto da catalizzatore».
Infatti
già nei mesi scorsi il gruppo Manor aveva proceduto a licenziamenti e
riorganizzazioni dei punti vendita, primi passi di un processo di ristrutturazione e massimizzazione dei profitti.
Il processo di ristrutturazione viene condotto nel
più puro stile Manor, senza che i lavoratori e le lavoratrici o i loro
rappresentanti (ricordiamo che Manor non è firmataria di alcun contratto
collettivo) siano stati in qualche modo coinvolti in questa decisione. La
trafila è quella classica: annuncio dei licenziamenti e di un piano sociale
(che, come sempre, immaginiamo sarà più che modesto).
La crisi pandemica ha mostrato in modo chiaro come
la difesa dei profitti e delle proprie esigenze da parte delle aziende venga
prima di tutto: a cominciare dalla salute dei lavoratori e delle lavoratrici;
ma, dopo la fase più acuta, sta dimostrando che tutti i discorsi sulla
cosiddetta “ripartenza” altro non sono che artifici retorici. Le aziende
ristrutturano e riorganizzano le proprie attività nella sola logica della
difesa dei profitti. Inutile dire che, in questo contesto, dimenticano (come
fanno sempre) la loro proclamata “responsabilità sociale”.
Di fronte a tutto questo è necessario cercare di
organizzare un minimo di resistenza alla soppressione di posti di lavoro, avanzando
soluzioni alternative quali, ad esempio, la diminuzione del tempo di lavoro
che, oltre a salvare posti di lavoro, rappresenterebbe un redistribuzione della
ricchezza. È in questa prospettiva che devono muoversi le organizzazioni
sindacali (ammesso che abbiano ancora un minimo di capacità di intervento)
rifiutando i licenziamenti e cercando di mobilitare i lavoratori e le
lavoratrici.
Manor ha affermato che “L'intero
processo si svolge in maniera responsabile e in stretto coordinamento con le
parti sociali e le autorità locali”. Non è accettabile che, in un contesto
degradato dal punto di vista occupazionale e sociale come quello ticinese, le
“autorità locali” accettino questi provvedimenti. È necessario un intervento
pubblico che faccia pressione per evitare un ulteriore colpo all’occupazione
nel nostro Cantone.
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