
Lo straniero
Scoreggerai nella
seta, gli dissero al bar quando seppero che avrebbe lasciato il paese per la
Svizzera. Lì per lì pensò fosse una specie di augurio, quelli che si fanno agli
amici di ferro che probabilmente non vedremo più. Ne parlò col suocero e questi
impiegò meno di un secondo per aggiungere: “Altro che seta, se ti va di lusso
lo farai sulla paglia! La Svizzera è il paese dei ricchi e dei padroni che
apprezzano il silenzio e la mansuetudine dei suoi poveri molto più dei bucolici
paesaggi”. Non gli dette peso perché sapeva che non parlava il padre di sua
moglie, ma l’ex partigiano che aveva rifiutato al partito la consegna del
fucile durante la normalizzazione democratica nella seconda metà degli anni
quaranta. Arrivò prima a Chiasso, poi a Lugano e sei mesi dopo lo raggiunsero i
figli ancora in età scolastica. Sul lago ha riavviato la famiglia, lavorato
onestamente e di gran lena, è diventato nonno e infine, come capita a tutti,
morto. Ora che la terza generazione della famiglia si affaccia al mercato del
lavoro, quell’augurio di tanti anni fa non è più neanche tale, solo un lontano
ricordo di chi era giovane a quel tempo, destinato a scomparire come lacrime
nella pioggia quando toccherà a lui passare il testimone. Non c’è seta per chi
lavora per vivere, non c’è mai stata né ci sarà. Aveva ragione il nonno!
Ecco perché tutte le
volte che vedo tanti miei fratelli gironzolare per le vie della città, penso
alla seta e alla paglia e vorrei fermarli per raccontare loro la storiella del
bar nella valle dell’Arno. Ancora non l’ho fatto, forse penalizzato dalla
lingua o dal non sapere come loro dicono “scoreggia”. Emigrare per il lavoro è
un po’ come andarsene per necessità politiche; in entrambi i casi si lascia il
proprio posto di lotta. I padroni come gli avversari politici sono dappertutto
e, spesso, hanno anche la stessa divisa. Tanto vale non muoversi e lottare a
casa!