martedì 30 aprile 2019

1° Maggio


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Nato come il giorno in cui gli operai schieravano le loro forze contro il padrone, diventò la generica festa del lavoro, fino ad oggi, che peggio ancora, bisogna andare a lavorare come un giorno normale

 Caro Operai Contro, l’anno scorso 5 milioni di operai hanno lavorato anche il 1° Maggio, (fonte Cgia di Mestre). Prima snaturato al rango di generica “festa del lavoro”, (come se il lavoro, separato da chi lo fa non fosse una pura astrazione), in realtà il 1° Maggio era nato proprio rivendicando la riduzione del lavoro, o meglio la riduzione a 8 ore della giornata lavorativa, quando, non avendo limiti legali, i padroni imponevano giornate lavorative da 12 o 16 ore, anche spezzettate su più turni.

Via via che l’aristocrazia operaia andava in sintonia con le direzioni sindacali, il1° Maggio perdeva la sua identità.

Poi è arrivata la nuova legislazione del lavoro a intrecciarsi con quella preesistente: oltre 40 tipologie contrattuali della legge Biagi, varata nel 2003 dal governo Berlusconi, con Maroni al Ministero del lavoro.

La legge Biagi rese legale la precarizzazione del rapporto di lavoro e con questo, anche weekend e giorni festivi compreso il1° Maggio, che la Costituzione riconosce come festività laica, sono diventati giorni lavorativi come altri.

Ai padroni serviva un uso più flessibile della forza lavoro, così hanno adeguato a questa necessità il rapporto di lavoro attraverso le nuove tipologie contrattuali definite “atipiche”, e questa evoluzione non trovò mai una seria opposizione del sindacato, al contrario, le sue componenti legate all’aristocrazia operaia, recepirono le nuove norme, come un segno della modernità dei tempi!

Tutta la forza lavoro, molto differenziata al suo interno, è costantemente sotto ricatto di licenziamento senza motivo, condizionata ad accettare ritmi e carichi di lavoro più pesanti, spinta, senza un’adeguata formazione preventiva, a svolgere mansioni pericolose, in barba alla sicurezza e all’antinfortunistica.

Mentre i capi sindacali il 1° Maggio strepitano in diretta televisiva dalle piazze, gli operai e gli immigrati sono in balia dei moderni negrieri, che oggi hanno a disposizione oltre la legge Biagi, anche il Jobs Act varato dal governo Renzi, e la legge Fornero varata dal governo Monti.

Da anni nelle fabbriche e nei posti di lavoro, al 1° Maggio non cala più il silenzio assoluto, perché tutto si fermava per riaffermare questa data storica, sancita il 20 luglio del 1889 dall’Associazione Internazionale degli Operai, riunita in quei giorni a Parigi.

Lo scopo era di fissare in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno una grande manifestazione con la quale gli operai rivendicassero “alle pubbliche autorità”, la riduzione per legge della giornata lavorativa a 8 ore.

Nato come il giorno in cui gli operai schieravano le loro forze contro i padroni e i loro governi, la scelta cadde sul 1° Maggio perché 3 anni prima, il 1° Maggio 1886, una grande manifestazione operaia si svolse a Chicago e nei giorni successivi, scioperi e manifestazioni nelle principali città industriali americane, furono represse in tutti i modi dalla polizia che, in più occasioni aprì il fuoco, uccidendo almeno 12 manifestanti.

Oggi i giovani conoscono il 1° Maggio perché il sindacato organizza il concertone musicale a Roma.

La fine indolore del 1° Maggio come giornata di lotta internazionale, non è stata indolore per gli operai, per loro ha significato un peggioramento della propria condizione.

Lo snaturamento del 1° Maggio di lotta, è la conseguenza di un sindacalismo concertativo, preoccupato di difendere con i suoi privilegi, anche gli interessi dell’aristocrazia di fabbrica, della quale si serve per tenere a bada gli operai.

In tante aziende colpite dai licenziamenti, il sindacato ha già il copione scritto: niente lotta ma tutti a casa con la cassa integrazione e poi la disoccupazione.

Perciò a maggior ragione in fabbrica e nei posti di lavoro, spetta proprio agli operai organizzarsi collettivamente, individualmente non contano niente, per ribaltare questo stato di cose.

Nel 1889 quando non c’erano gli attuali mezzi di comunicazione, gli operai riuscirono a organizzare a livello internazionale, il 1° Maggio, uno stesso giorno di lotta, con la medesima rivendicazione: la giornata lavorativa di 8 ore.

Solo un percorso di ripresa della lotta operaia, può rimettere in carreggiata la resistenza contro i licenziamenti e lo sfruttamento operaio. Dopodiché si potrebbe restituire al 1° Maggio la sua identità non puramente simbolica, ma di giornata di mobilitazione internazionale degli operai.

Saluti Oxervator

giovedì 18 aprile 2019

Lugano, il futuro del suo "aeroporto" e l'ambiente

Il Movimento per il socialismo (MPS) ha preso atto delle dichiarazioni del consigliere di Stato Claudio Zali al termine del consiglio di amministrazione di Lugano Airport, tenutosi lunedì scorso.
Il Consigliere di Stato ha espresso l’intenzione di sottoporre al Parlamento, in tempi verosimilmente relativamente brevi, la proposta di sottoscrivere la proposta della partecipazione del Cantone ad un aumento di capitale. Oggi, lo ricordiamo, la quota del Cantone è del 12.5%: una partecipazione che dovrebbe essere aumentata in modo “molto importante”, fino al 40% secondo indiscrezioni di stampa.
È evidente che una simile operazione trasformerebbe di fatto l’aeroporto di Lugano da scalo di “interesse cantonale” in vero e proprio aeroporto cantonale; permetterebbe alla città di Lugano di alleggerire il proprio impegno, anche in considerazione del fatto che nella futura configurazione azionaria si pensa di aprire in modo più importante alla partecipazione di privati.
L’MPS si oppone chiaramente e con forza a questa prospettiva. Lo sviluppo dei vettori di trasporto per il futuro del Cantone deve andare in tutt’altra direzione. L’MPS ritiene che le vicende degli ultimi anni abbiano sufficientemente dimostrato che non vi sono ragioni economiche, commerciali, aziendali e/o turistiche che giustifichino il mantenimento e/o lo sviluppo dell’aeroporto di Agno quale struttura pubblica o di interesse pubblico.
La sola via dignitosa da perseguire sarebbe quella di una dismissione dello scalo, attraverso un piano di riconversione che permettesse di trovare ai lavoratori e alle lavoratrici che vi lavorano una nuova ed adeguata sistemazione lavorativa. In questo senso la Città, come maggiore azionista, dovrebbe e potrebbe facilmente farsene carico attraverso le proprie strutture amministrative. È questa l’unica strada possibile. Qualunque altra via sarebbe l’ennesimo tentativo destinato al fallimento, sprecando, come già fatto in questi ultimi anni, importanti risorse pubbliche.
Per questa ragione l’MPS preannuncia la propria opposizione alla proposta, qualora venisse formulata dal governo, di aumentare la partecipazione del Cantone a Lugano Airport; vi si opporrà dentro e fuori dal Parlamento cantonale, se necessario anche lanciando il referendum.
L’MPS non può non sottolineare come sia malvenuta, da parte del ministro dell’ambiente cantonale, una proposta che punta sullo sviluppo di un vettore di trasporto come quello aereo, oggi sempre più rimesso in discussione da una nuova consapevolezza sulla grave situazione climatica: ricordiamo che in Svizzera le emissioni nocive dovute al trasporto aereo sono, nell’arco degli ultimi dieci anni, praticamente raddoppiate.
Anche qui si dovrebbe far seguire alle parole i fatti. E anche il sindaco Borradori, bravo a salutare e a incoraggiare gli studenti che protestano per il clima, meglio farebbe a mostrare un po’ più di coerenza ambientale.

lunedì 15 aprile 2019

La politichetta dei socialdemocratici svizzero-italiani

Furbizie social-liberali e divisione dei salariati

Fonte:mps.ti@bluewin.ch

Avevamo scritto, qualche giorno fa, che non saremmo per nulla sorpresi se, con la solita furbizia e ripetendo lo scenario dello scorso 29 aprile sulla votazione per la cosiddetta riforma “fisco-sociale”, il comitato cantonale del PS si esprimesse per un sostegno all’iniziativa sull’Officina: un colpo al cerchio e uno alla botte (se vincerà il SI, avrà vinto il partito; se vincerà il NO avranno vinto Branda, Bertoli, Bang, etc., cioè ancora il partito). Al governo e all’opposizione, ovunque come Dio: in cielo, in terra e in ogni luogo”.
Proprio oggi leggiamo sul Corriere un contributo di un membro del comitato cantonale del PS che invita il partito in questa direzione, ricordando, senza tirarne le conclusioni, che la stessa sera in cui si terrà il Comitato Cantonale, vi sarà uno speciale della trasmissione modem nella quale il capofila del NO all’iniziativa “giù le mani” sarà proprio quel Mario Branda che, da mesi, conduce questa campagna contro l’iniziativa, senza trascurare momenti vicini alla diffamazione nei confronti del comitato Giù le mani, come è stato il caso nella recente assemblea di Bellinzona. Unitamente, come detto qui sopra, ad altri pezzi grossi del partito (facciamo notare che il gruppo parlamentare del PS si è già pronunciato contro l’iniziativa: nel loro ridicolo controprogetto presentato al momento della discussione in Gran Consiglio il dispositivo di voto indicava chiaramente il rifiuto dell’iniziativa).
Siamo alle solite. Mentre gli organismi ufficiali fanno finta di sostenere un’iniziativa (cosa di per sé positiva, anche se arriva alla fine di un processo nel quale si sono sostenute posizioni contrarie), i dirigenti più in vista, quelli “ascoltati” dalla base, quelli che “contano” per orientare il voto della “base”, fanno attivamente (e da tempo) campagna contro quella stessa iniziativa. Con il risultato di spingere la maggioranza del partito ad opporsi all’iniziativa. La “faccia” è salva, in particolare dal punto di vista elettorale.
Il risultato di questo tipo di politica è la divisione del fronte che, quasi naturalmente saremmo portati a dire, si dovrebbe schierare a favore di iniziative favorevoli ai salariati e che vedono il fronte dei partiti borghesi e padronale schierato dall’altra parte. Con questo tipo di politica si salvano certo, come detto, immagine e, forse, posizioni elettorali a breve termine: ma si contribuisce in modo significativo alla sconfitta del fronte dei salariati.
Uno scenario che rischia di ripetersi, lo stesso 19 maggio, anche con la votazione federale sulla RFFA che vede i pezzi grossi del PSS e importanti dirigenti sindacali schierati a favore del progetto. E non saremmo sorpresi, nemmeno in questo caso, se il PS cantonale si inventasse una “libertà di voto” o qualcosa del genere. Non costa nulla e può anche rendere.

mercoledì 10 aprile 2019

Un mondo perfetto

Fonti ONU riportano: 2 miliardi di persone in sovrappeso 672 milioni di obesi 821 milioni che soffrono la fame


mercoledì 27 marzo 2019

Battisti ha detto cosa?

Una domanda: come mai Cesare Battisti si autoaccusa di aver compiuto tutti i delitti iscritti nella sentenza di condanna emessa decenni fa senza che gli fosse consentito di difendersi (contumacia)? Un’autoaccusa non veritiera!
Il pm che l’ha ascoltato ha riportato le sue parole: “ha ammesso che i 4 omicidi, i 3 ferimenti e una marea di rapine e furti per autofinanziamento, corrisponde al vero. Mi rendo conto del male che ho fatto e chiedo scusa ai familiari delle vittime“.
Evidentemente Battisti ha deciso di assecondare l’orchestra forcaiola che oggi conduce il balletto in questo triste paese.
Forse non ha sentito intorno al suo caso quella solidarietà necessaria a sostenerti in una lotta. Anche tra la gente è prevalso il giudizio perentorio o il disinteresse negligente.
Forse ha ritenuto non opportuno contrastare punto per punto le violazione subite a seguito delle inosservanze delle procedure previste nei casi di estradizione. Lo stato italiano le ha violate per l’estradizione dalla Bolivia perché quel paese doveva ricondurlo in Brasile che aveva già avviato con l’Italia una procedura di estradizione con la richiesta allo stato italiano di commutare la pena all’ergastolo (non prevista nell’ordinamento brasiliano) in quella di trentanni di carcere.
Probabilmente ha avuto il sentore che in Italia oggi conviene usare un basso profilo e far contenta la grancassa messa in moto dagli apparati governativi, statali e mediatici per fregiarsi di questo risultato in un periodo di vacche magre. Li abbiamo visti, infatti, nel rettangolo televisivo, gongolare con sorrisi trattenuti a stento, come a dire: noi sappiamo farci valere.
Probabilmente con questo ingiusta autoaccusa ma assoluzione piena per i repressori, spera di ricevere un trattamento carcerario rispondente alle normative, non un accanimento feroce come l’iniziale isolamento in un carcere “duro” come quello di Oristano, non previsto per chi deve scontare una condanna definitiva su fatti compiuti antecedentemente alle norme sull’inasprimento dei regimi di carcerazione (1991), e forse anche per esplorare le possibilità di rinverdire spazi di collaborazione con la magistratura, anche se le leggi sulla “dissociazione”, la prima nel febbraio 1980, l’ultima l’8 Febbraio 1987, sono da tempo dormienti.
Alcuni, forse tantissimi, diranno: ma come fai ad essere sicuro di queste cose?
Semplice!, ho frequentato per alcuni decenni, quasi tre, le carceri di questo paese. Siamo stati in tanti, ragazze e ragazzi delle due o tre generazioni di cui ho fatto parte ad essere ospitati negli alberghi statali. In quelle orride prigioni lo stato oltre rinchiuderci, aveva il capriccio di farci viaggiare per tutti i tuguri predisposti per azzerare e addormentare la parte più vivace di quell’umanità. Lo stato voleva che conoscessimo quei lager e che apprezzassimo la cura con cui erano stati predisposti. Tra i tanti compagni che ho conosciuto lì dentro c’erano pure i militanti dei Pac (proletari armati per il comunismo) il piccolo gruppo di cui ha fatto parte Cesare Battisti. Così, giorno dopo giorno, calpestando il piccolo pavimento di una cella o “facendo le righe” in un passeggio, ci si raccontava l’andamento dei processi che, in omaggio alle leggi speciali che traboccavano in questo paese, erano in pieno svolgimento per infliggere secoli di galera. Quei processi non cercavano tanto di appurare i fatti accaduti, quanto di produrre imputati “pentiti” (delatori) oppure “dissociati”. I mezzi con cui venivano prodotti questi personaggi erano quelli di sempre: la minaccia di galera dura e infinita, a volte condita con poca o tanta tortura.
Tra di noi ci si raccontava e si rideva, che altro potevamo fare, delle frottole che i “pentiti” riferivano, inseriti in una logica che più il “pentito” racconta responsabilità altrui utili per appioppare anni di galera, più i suoi meriti di “pentito” vengono esaltati.
Oggi è in pieno svolgimento il gioco tipico del cerimoniale italico gradito al sistema. Si racconta la versione che può andar bene a tutti quelli che hanno gioito questi giorni, li abbiamo visti e letti: “Battisti ammette i quattro omicidi, chiedo scusa”; “Battisti, giù la maschera”“Battisti è un assassino e dovrà marcire in galera fino alla fine dei suoi giorni”; “I familiari delle vittime: ora è tardi per perdonare, dica quello che nessuno sa”; “In prigione non uscirà vivo”; Confessione è passo in avanti”; e tanti altri commenti poco edificanti, che omettiamo.
Sarà lo scorrere del tempo a mostrarci le prossime puntate.

https://contromaelstrom.com/2019/03/27/cesare-battisti-si-autoaccusa/