giovedì 31 dicembre 2015

Italia:Forze di polizia e fascismo


Caso Cucchi: «Ragazzi dobbiamo 

 
giocarcela per avere la pena sospesa»

 

In una lunga intercettazione ambientale due dei militari accusati di lesioni gravissime parlano della notte fra 15 e 16 ottobre 2009, in cui arrestarono Stefano Cucchi

di Ilaria Sacchettoni




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C’è una lunga intercettazione ambientale che ritrae assieme - liberi di parlare - i carabinieri sotto inchiesta per la morte di Stefano Cucchi. La registrazione risale alla notte fra il 30 e il 31 luglio 2015. In viaggio sull’autostrada, a bordo dell’Alfa del collega Gabriele Aristodemo, i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, oggi indagati per lesioni gravissime, parlano di un’altra notte. Quella del 15 ottobre 2009 in cui Stefano Cucchi fu arrestato per spaccio, perquisito e -dicono oggi gli investigatori - pestato violentemente dagli stessi carabinieri che lo custodivano.


«In primo grado ci danno 5 anni»
I due sono addetti ai lavori, conoscono metodi e mezzi utilizzati per le indagini. La conversazione è lucida. Non è lo sfogo drammatico liberato, al telefono con l’ex moglie, da D’Alessandro («Cosa vuoi tu da meeee?») . Qui i militari si sentono padroni di se e trattano la questione in modo professionale. «In primo grado ci danno 5 anni, l’avvocato ci dice vicino a noi...ragazzi ce la dobbiamo giocare per avere la pena sospesa» dice D’Alessandro.

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Caso Cucchi, carabiniere inguaiato dalla moglie

«Vuoi Coppi?»
Poco prima, sempre durante il viaggio, domandava con tono semischerzoso al collega: «Ti ho capito a te e giustamente ti deve prima arrivare l’avviso di garanzia...ma io comincio a vedere per Coppi...vuoi Coppi? O quell’altra come si chiamava?...scegli l’avvocato di Berlusconi o quello di Sollecito?»


«Quel pm è proprio un...»
Di quando in quando i due indagati si ripetono: «Ma con che lo fanno il processo?» fiduciosi nel fatto che non è scontato l’esito delle indagini. E che il tempo gioca in loro favore. Altrove uno dei due mette a fuoco la situazione drammatica dal punto di vista familiare e lavorativo: «Mi è venuto un flash uà, stamattina ho chiamato l’avvocato per la separazione e mo’ devo mettere un altro e ho visto tutte ... bello e buono mi sono sentito mancare». Conversano nella consapevolezza che la faccenda è seria, certo. Che un’inchiesta è in corso e il magistrato che la segue è molto deciso («Quel pm è proprio un figlio di m...» si sente a un tratto) ma i sentimenti non entrano, al riparo degli anni ormai trascorsi. Giocano, forse, sapendo che il tempo è dalla loro parte.
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